Il post sciopero: le riflessioni del Segretario generale UIL Scuola

Di Pino Turi.

La Formazione diventa un’autentica ossessione. Il Governo sale in cattedra e manda i prof a scuola.

Tutta colpa della formazione che non c’è. Sembra essere questo il mantra del Governo per affrontare ogni questione che impatti con la mancata crescita dell’economia. A farne le spese questa volta è toccato ai malcapitati docenti delle scuole che hanno sì a che fare con la crisi del sistema economico, ma solo in via indiretta. A dettare la linea, come accade da tempo, è uno dei bracci armati del Ministro Bianchi: l’INDIRE. L’Istituto di ricerca che analizza, elabora e propone le ricette (quasi sempre bocconi amarissimi) che bisogna far ingurgitare ai recalcitranti docenti. Percorsi di formazione permanente differenziati tra i neo – assunti (per loro sono obbligatori) e quelli per così dire di lungo corso (a loro verrebbe riservata la facoltà di aderire su base volontaria), strutturati su orari extracurricolari e con impegno settimanale. Quanto al corrispettivo economico, pagamenti a forfait prelevati dal fondo di istituto, dalla card dei docenti, dai fondi dell’autonomia delle scuole e dal taglio degli organici (10.000 cattedre in meno a partire dal 2026). Ma non per tutti, il trattamento non potrà riguardare più del 40% del totale dei prof. Chi vorrà cimentarsi dovrà mettersi in fila ed attivare buoni canali relazionali per rientrare nel gotha degli eletti: i docenti 4.0.

Ma non è tutto. Il complemento, l’altra metà del progetto, prevede un nuovo sistema di reclutamento per poter diventare docenti a tempo indeterminato. Un percorso a ostacoli, fatto di cinque step: laurea, abilitazione, concorso pubblico, periodo di prova e formazione obbligatoria, tutti rigorosamente selettivi con esame e valutazione finale. E qui entra in scena l’altro ente strumentale del Ministro: l’INVALSI. L’Istituto che si occupa della valutazione dell’operato dei prof e della loro ricaduta sugli studenti.

Paradossale, ma terribilmente vero, il Decreto che prevede formazione e reclutamento emanato dal Governo il 1° maggio, trova un altro elemento di contrasto non solo nel riuscitissimo sciopero del personale della scuola, che, a giusta ragione, lo contesta, ma anche nei dati sull’occupazione che l’Istat ha reso noto in questi giorni. A maggio 2022 il numero dei precari in Italia supera la soglia dei tre milioni di lavoratori (3.166.000 per l’esattezza), il 10% di questi proviene proprio dalla scuola e le misure elaborate tenderanno a far crescere il bacino, proprio per aver irrigidito e reso ancor più complessi gli aspetti procedurali (i concorsi). E, almeno questo, non può averlo chiesto l’Europa considerato che la giurisprudenza consolidata d’Oltralpe fissa in trentasei mesi il valore soglia per far cessare la precarietà.

Un autentico pasticcio quello creato, il PNRR 2 nella sua declinazione scolastica,  più che una riforma di sistema è una minaccia al sistema. Adesso il Governo ha due vie davanti a sé: aprirsi al confronto in sede parlamentare per migliorare il testo (centinaia gli emendamenti sin qui proposti), raccogliendo le doglianze del mondo del lavoro, o tirare diritto e porre la fiducia.

Il confine tra democrazia e autoritarismo è tutto qui: dialogare o decidere senza dialogare.

Quanto ai patti in divenire su: lavoro, contratti e retribuzioni, speriamo siano diversi da quelli sin qui sottoscritti che non sono serviti a nulla. Il 7 giugno prossimo i sindacati della scuola e ARAN proseguono la trattative per il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da oltre tre anni. Un ulteriore banco di prova per testare la reale volontà del Governo di sostenere la crisi del mondo del lavoro. Contrattare un aumento che non copre nemmeno l’inflazione è una vera e propria assurdità, un’ulteriore ingiustizia.

Le analisi senza i giusti rimedi sono un puro esercizio di demagogia del potere.

 

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