Schola infelix

La libertà d’insegnamento è un bene fondamentale, costituzionalmente tutelato.

Quanto accaduto a Palermo è fatto di inaccettabile gravità. In un istituto di Scuola Superiore una professoressa ha consentito agli studenti di esprimere il proprio pensiero, all’interno di una iniziativa didattica: l’esercizio del libero pensiero è bastato a far scattare la sospensione della docente. Opportunamente Pino Turi, Segretario generale della Uil Scuola, ha ricordato che “la libertà di insegnamento è un bene fondamentale in una società democratica, quando si vogliono porre dei limiti siamo in presenza di una vera e propria malattia”. Una malattia che può rapidamente diffondersi, diventare infettiva: ché la politica da sempre ha cercato di piegare la scuola al proprio disegno politico. Magari di tipo regionale, così da confinarla all’interno di una sorta di Stato più piccolo e da mantenerla sotto il giogo di quelle massime anguste e personali che nell’ampiezza delle grandi amministrazioni e nel conflitto di svariati interessi, vanno nel contrasto e senza confutazione insensibilmente smarrite (Cattaneo).

Il professor Giovanni Genovesi, pedagogista di chiara fama, affermava che la scuola da sempre ha dovuto combattere per affrancarsi dalla politica, per tutelare la propria libertà. In un prezioso libro del 1999, “Schola Infelix”, Genovesi denuncia un preoccupante fenomeno: “chi organizza il sistema scolastico generalmente ne ignora fini e funzioni. Piuttosto che inseguire un ideale educativo, consistente nell’aiutare i soggetti a esaltare la potenzialità umana, si punta e si è sempre puntato a obiettivi più modesti: trasmettere nozioni, preparare al lavoro. La meta non è mai stata un popolo di teste pensanti, ma di teste disciplinate”.

A ben guardare, il percorso della provincializzazione della Scuola, in Trentino, non si è forse sviluppato proprio con il recondito fine di asservire la Scuola alla maggioranza politica?

Dal 1996 in Trentino la Scuola è “provinciale a carattere statale”: un modello d’istruzione diverso da quello nazionale in forza dell’autonomia politica provinciale, costituzionalmente tutelata. Nella norma di attuazione è specificato come, nel garantire il rispetto del trattamento economico fondamentale previsto dal Contratto nazionale, possano essere previste prestazioni lavorative aggiuntive e, quindi, un trattamento economico correlato. Tutta qui, la scuola provincializzata: una maggioranza partitica stabilisce propri obiettivi politici; il personale lavora di più e, quindi, percepisce salario accessorio.

Nell’allegro concionare di forze politiche e sindacali sugli importanti passi compiuti dall’Autonomia Speciale, alcune voci solitarie fin da subito ammonivano sui rischi evidenti delle chiusure localistiche imposte alla Scuola statale. Una per tutte: Vincenzo Bonmassar, professore e libero pensatore.

Anno dopo anno l’artiglio dell’aquila tridentina si è fatto sempre più sentire: gli obiettivi deliberati dalla Giunta provinciale posti all’ordine del giorno dei Collegi docenti; la qualità degli apprendimenti sopraffatta dalla logica della quantità di lavoro da prestare; le Comunità scolastiche molestate dall’elefantiaco apparato burocratico provinciale.

Oggi, il modello di “scuola trentina” si regge economicamente sull’obbligo di effettuare sostituzioni dei docenti assenti, sull’aumento dell’orario cattedra e sullo spezzatino degli orari scolastici.

Per questa via bambini, ragazzi e insegnanti sono inseriti in una Scuola dei minuti, degli interventi didattici compressi. Le belle lezioni, quelle che potevano “perdere un po’ di tempo per prendersi il giusto tempo”, sono diventate un pallido ricordo. Altro che “pedagogia della lumaca”: tutti connessi al sistema (drive, registro elettronico, posta istituzionale, sms) ventiquattr’ore su ventiquattro, come certi medici da serial televisivi.

Nel contempo si sono introdotti i Piani di Studio Provinciali. Nella nostra Scuola trentina si hanno programmi di scuola che vengono mutati, per legge, al mutare delle Giunte provinciali e delle maggioranze partitiche che le sostengono. Come dimenticare quell’assessore provinciale alla Cultura, che ebbe la forza e il coraggio di affermare che lo studio della storia locale era stato introdotto nella legge proprio perché strumentale al proprio disegno politico? Nessuno provò a smentirlo.

L’esperienza del Trentino dimostra come l’autonomia provinciale, e quindi la regionalizzazione della Scuola, sia inversamente proporzionale all’autonomia scolastica: il disegno di regionalizzazione della Scuola produrrà solo una moltiplicazione dei centri di potere politico e amministrativo.

Schola infelix: come restituire felicità ad una Scuola che si vuole in condizione di marginalità, asservita al potere politico di turno? La Costituzione Italiana, la ricerca pedagogica universitaria, la normativa nazionale vigente ci danno un’indicazione precisa: è necessario tutelare l’autonomia scolastica al fine di dare piena voce alle singole Comunità scolastiche.

Certo è che non bastano i buoni propositi, peraltro ad oggi solo buone intenzioni. Occorre ripristinare quel sistema di garanzie necessarie all’effettivo esercizio dell’autonomia scolastica, nel tempo e da tempo cancellato. Sia reintrodotta la figura del Sovrintendente Scolastico. Un Sovrintendente all’autonomia delle Scuole, effettivamente dotato di strumenti e poteri idonei a tutelare la libertà d’insegnamento, la capacità e la competenza di ogni Comunità educante di costruire il proprio progetto formativo. Si dia inizio ad un vero cambiamento.

di Pietro Di Fiore

 


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