Ripartire dalla scuola fa partire il paese

Siamo convinti che le persone devono sentirsi parte di una comunità e di un progetto. Serve un nuovo umanesimo che consenta di vedere nella tecnologia uno strumento per vivere meglio. Un mezzo non un fine commerciale.

La pandemia ha solo messo in luce le politiche di questi anni che hanno prodotto ciò che nelle premesse denuncia il piano.  Aspetti negativi: bassa crescita, alto debito, inefficienza della PA, evasione fiscale, disuguaglianze sociali e di genere; aspetti positivi: la creatività, il dinamismo e il made in Italy. Tutti elementi preesistenti alla pandemia che li ha solo evidenziati.

Evidentemente sono il frutto avvelenato delle politiche neo liberiste, importate dall’estero che hanno cristallizzato un pensiero unico che si evince nella proposta.
Politiche che hanno allargato le disuguaglianze, ridotto la crescita, i diritti e mutato i valori di riferimento costituzionali che tenevano insieme il Paese.

Certamente il debito, che tutti hanno contribuito a fare, ma che pochi sono chiamati a restituire, ha condizionato la crescita, ma contemporaneamente ne ha fatto un Paese da record sia sul piano della corruzione che su quello dell’evasione.

Sono queste le questioni da aggredire, non il contenimento delle spese per istruzione e scuola, che determinano la crescita economica e sociale di un paese.

Ancora una volta si evidenzia una spinta tutta orientata a politiche volte ad aumentare l’offerta mentre il problema è quello di un forte gap nella domanda, che da sola, può determinare l’aumento dell’offerta e dell’efficienza.

Queste considerazioni dovrebbero portare a politiche totalmente opposte a quelle che appaiono nel piano, che invece, è in continuità con il passato.
Serve un’inversione ad U delle politiche degli ultimi venti anni.

Le ricette economiche indirizzate ad una globalizzazione selvaggia hanno prodotto un ampliamento della forbice tra Paesi ricchi e Paesi impoveriti. La concorrenza senza alcuna regola non ha portato a un’implementazione della qualità dei prodotti, ma ad un abbassamento – allo scadimento della qualità, in ragione della necessità di comprimere i prezzi.

Nello stesso modo si muovono i modelli di scuola perseguiti dai modelli neo liberisti. Nella Comunità educante, invece la squadra abbisogna del gioco di tutti: il successo arriva se anche i più fragili vengono sostenuti e supportati. E’ il motivo per cui rifiutiamo la scuola come servizio e non come funzione dello stato per cui è nata la scuola della Costituzione.
Le persone sono tra loro legate da interdipendenza positiva per il successo di tutti, escutendo il talento di ognuno.

Nella scuola servizio che guarda alle regole del mercato, il successo è per uno solo.

La competizione tra le persone e non tra le imprese (è questa la differenza che non si vuole capire) valuta con questo sistema il merito e l’efficienza. Nella vita reale, non serve essere il migliore, è importante costruire un’identità, seguire il proprio talento, i propri sogni.

Nell’istruzione liberista regna l’interdipendenza negativa, l’omologazione: ogni ragazzo deve essere il primo e confidare nell’insuccesso degli altri.

Affermare che l’arte e la cultura italiana sono il brand su cui costruire la ripresa, contraddice le strade da intraprendere, specie se si vuole, esasperatamente, fare paragoni con altre culture e civiltà diverse dalla nostra.

E’ intuitivo pensare che una delle ragioni di forza, la creatività è frutto dalla nostra cultura dalla nostra scuola che dei valori costituzionali è stata sempre custode e divulgatrice e non di altre.  La scuola come funzione di trasferimento di valori costituzionali, di uguaglianza ed inclusione, oltre che di integrazione è la via appena accennata nel piano stesso; si tratta della qualità della democrazia del nostro paese.

La scuola italiana è stata la prima ad attuare un’integrazione veramente ampia fino a comprendere ogni disabilità.

Costruire la ripresa su arte e cultura ci sembra una giusta partenza.
Diventa debole e contraddittorio se non si presta la massima attenzione nel passaggio dalle conoscenze alle competenze.  Il rischio è una visione del mondo e della scuola schiacciate sulle ragioni della crescita della competizione, del mercato.

Certo oltre che contrarli i debiti, bisogna anche pagarli e serve la ripresa economica e la crescita del PIL, ma manca il presupposto che vede, nella persona e in un nuovo  umanesimo, gli elementi che farebbero crescere il PIL insieme al benessere, finanche anche la felicità.

Sono i nuovi fattori della produzione economica e della equità sociale che diventano realtà solo in una scuola che li fa crescere. Servono riforme, ma per dare certezze e diritti a tutti e non solo ad alcuni.

La solidarietà che è scattata quasi inavvertitamente sulla paura del virus, è la molla della coesione che consentirebbe di uscire dalla crisi. La storia ce lo insegna si esce dalle crisi uniti e solo se i vantaggi sono ripartiti equamente spalmati su tutti non solo per alcuni.

Per un sindacato che è dei cittadini, la società nuova sarà quella che riusciremo a costruire sui valori antichi.

La scommessa sarà nel tornare ad avere come centrali le parole Comunità, Persona. Vent’anni fa una ministra parlò di scuola delle 3 I: impresa, inglese, informatica.
Il modello di scuola al quale guardiamo è quella delle 3 I che rispettano le persone: irriducibile, irripetibile, inviolabile.

Questa pandemia ha fatto riscoprire l’importanza dello Stato, della solidarietà, sono le direttrici su cui si dovrà muovere anche la politica sindacale, tornando a garantire il benessere diffuso di chi vive del proprio lavoro che deve tornare un diritto e non un privilegio.

Nel dibattito sulla scuola ognuno ne caratterizza i tratti:  i c.d. stakeholders, i portatori di interessi, il più delle volte anche in contrapposizione con quello generale interpretato dalla scuola statale, si fanno sentire chiedendo risorse e sottraendo spazi allo stato a favore del mercato, della concorrenza educativa che è un controsenso rispetto ai valori costituzionali che sono chiari e precisi. Intanto ad oggi non abbiamo un piano strategico per riaprire le scuole a settembre.

 

 


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