INTERVISTA | Pino Turi, commenta l’Atto di indirizzo della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

“Questo Paese deve ritrovare fiducia nelle istituzioni. Ce n’è una che gode della fiducia del Paese e noi la demonizziamo? E’ un mondo alla rovescia”.

Il segretario nazionale della Uil Scuola, Pino Turi, commenta l’Atto di indirizzo della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, presentato nei giorni scorsi. Centralità studente. Coinvolgimento dello studente nella didattica. Sapere meno trasmissivo. Inclusione.  Alleanza educativa. Valorizzazione e sviluppo del personale scolastico.

Scuola e territorio. Innovazione digitale. Valutazione. Regole certe per l’accesso alla professione e organizzazione migliore dei concorsi. Pagamenti rapidi. Questi i punti salienti del documento programmatico presentato dalla ministra nei giorni scorsi. Inclusione.

“Inclusione? La scuola italiana è la più inclusiva al mondo. Insegniamo addirittura agli altri come si fa inclusione. Non abbiamo nulla da imparare. Docenti di vari sindacati di altri Paesi europei sono venuti a vedere come funziona l’inclusione qui in ItaliaLa nostra è l’unica struttura scolastica al mondo che obbliga gli alunni extracomunitari anche non accompagnati ad andare a scuola”. E ancora, i Pon: “Con i Pon si fa recupero dei progetti e delle risorse invece che recupero dei ragazzi. Se le mie energie le devo usare per fare i Pon e i Por, che spesso non hanno tante ricadute sugli alunni, le userò meno con gli studenti. Invece di risolvere i problemi del ragazzino che ha problemi a casa ci si guarda in cagnesco per chi si deve prendere il Pon”.

Segretario Pino Turi, rimettiamo ordine. La ministra della pubblica Istruzione, Lucia Azzolina, punta alla centralità dello studente, anche attraverso un suo coinvolgimento diretto nella didattica quotidiana, “attraverso un ripensamento della metodologia didattica tradizionale, a vantaggio di un modello meno trasmissivo e più appassionante”. Che cosa ne pensa?

“E’ logico che debba esserci una centralità dello studente ma senza il personale docente e il personale Ata si fa solo propaganda” .

Che cosa la preoccupa?

“Mi preoccupa il fatto che si usano dei refrain tipici da Legge 107: ti do la formazione. Questo dà più un’idea di indottrinamento che non un supporto alla professione docente. Quando però si parla di formazione obbligatoria e permanente in entrata e in servizio questo mi dà invece l’idea che ci si rivolga a persone che non conoscono il proprio mestiere, che sono incapaci. Ma questa è un’offesa bell’e buona, poiché si sta parlando di gente chiamata a formare a propria volta. Quando si parla dei dirigenti scolastici si parla di formazione per supporto della professione, invece per i docenti si parla di formazione in ingresso, strutturale e permanente: è un’offesa, una cosa falsa. La scuola funziona e funziona bene, e questo grazie ai docenti.

Eppure la formazione serve, è indispensabile in tutte le professioni.

“Non c’è dubbio che la formazione serva. Ma quale formazione? Chi la sceglie? Il Ministero? La formazione nel nostro contratto è un diritto e un dovere. Dico questo perché quando poi i docenti sono chiamati alla formazione i numeri sono considerevole quando è di valore. Quando la formazione è di carattere burocratico e deviata dal punto di vista ideologico i docenti la rifiutano. L’obbligatorietà della formazione l’abbiamo vissuta negli anni scorsi e abbiamo visto che era una burocrazia inutile. Occorre capire chi la progetta e cosa progetta. C’è l’autonomia scolastica e se qualcuno pensa a una formazione centralistica si sbaglia. E siccome questa è diventata materia di contrattazione vengano al tavolo della contrattazione con ideee chiare perché noi le abbiamo chiarissime. E vengano con le risorse poiché per aumentare l’orario di servizio ci vogliono risorse aggiuntive”.

A proposito di risorse. Se ne sta parlando oppure no?

“Segnalo che tutti ne hanno parlato. Un ministro si è pure dimesso per la mancanza di risorse assegnate alla scuola. Bisogna capire se la scuola è o no una priorità. E’ uno dei motivi della nostra mobilitazione, che parte dai precari e arriva fino ai problemi di natura strategica di questo Paese. La scuola è una di quelle istituzioni che godono della fiducia del 66 per cento degli italiani e su questo non si deve scherzare. Pertanto, se il problema iniziale è un giudizio negativo su un personale che bisognerebbe selezionare ed educare, si parte con un piede sbagliato. Stiamo assistendo di nuovo a un attacco contro una categoria che dovrebbe essere valorizzata e non denigrata. L’autorevolezza dei docenti non è premiata. E se il ministro dell’Istruzione – che dovrebbe rappresentarli, visto che è anche una docente – pensa che i docenti non siano all’altezza, allora c’è un problema: la maggior parte degli italiani non la pensa invece così. Io dico: incontriamoci, magari scontriamoci, ma occorre iniziare a valorizzare e non denigrare e rendere debole la categoria agli occhi dell’opinione pubblica. Questo Paese deve ritrovare fiducia nelle istituzioni. Ce n’è una che gode della fiducia del Paese e noi la demonizziamo? E’ un mondo alla rovescia”.

Torniamo alla centralità dello studente.

“La centralità dello studente va di pari passo con la centralità del docente. Non dev’essere in contrapposizione. Abbiamo introdotto il concetto di comunità educante, invece si continuano a utilizzare idee e narrazioni incoerenti. Lo studente non può essere un oggetto della didattica ma un soggetto attivo, però non bisogna utilizzare soltanto frasi propagandistiche. I ragazzi e le famiglie devono partecipare alla vita scolastica anche attraverso una rivisitazione degli organi collegiali. Non è eliminandoli che si risolvono i problemi ma rilanciando le loro funzioni di autogoverno”.

Davvero pensa che vogliano tagliarli?

“E’ scritto! Siccome nelle linee guida della ministra Azzolina c’è la possibilità di modificare gli organi collegiali non vorrei che ciò si verificasse. Io penso che vadano rivitalizzati. Se la scuola fosse un servizio e va bene. Ma se la scuola è una funzione, essa va affidata agli organi di autogoverno. Se qualcuno pensa che il Ministero possa dire cosa si insegna e come allora c’è un vulnus al concetto di autonomia anche professionale. Il timore è quello di avere una scuola eterodiretta, ammazzando quell’autonomia che non c’è mai stata. Occorre inoltre eliminare quell’errore delle sanzioni che spettano al dirigente. Che fa le indagini, fa pure il Pm e anche il giudice. Non va bene. Ci sono tante segnalazioni di sanzioni incomprensibili in giro per l’Italia.

La ministra Azzolina s’impegna a favorire un sapere più coinvolgente “attraverso un ripensamento della metodologia didattica tradizionale, a vantaggio di un modello meno trasmissivo e più appassionante”.

“Una scuola è diversa dall’altra e deve fare ricerca per adeguare i programmi e le strategie didattiche. Tutto questo, però, insisto, lasciamolo fare alle autonomie scolastiche investendo delle risorse. Ma l’elemento essenziale e l’idea che dobbiamo avere sono quelli della Costituzione, che indica una scuola statale, libera, autonoma e indipendente, specie dal potere esecutivo. La scuola, che ogni governo vorrebbe condizionare, deve dare conto al Parlamento, non al Governo. Infatti ogni Governo cambia le linee del Governo precedente. Ogni ministro vuole fare le riforme e passare alla storia. Si parta invece dai valori costituzionali. La scuola è la depositaria dei valori, non il Governo. La scuola è un’istituzione più importante delle altre, anche del Governo, come dice Calamandrei. Tutti lo citano, Calamandrei, ma spesso a sproposito”.

Per la ministra l’inclusione scolastica deve essere un impegno costante per garantire la piena integrazione – in ambito scolastico ma anche nel più generale contesto di vita – non solo dello studente il cui percorso di istruzione sia connotato da condizione di disabilità, da specifici disturbi dell’apprendimento o da altre situazioni di svantaggio socio economico, linguistico o culturale, ma anche di quegli studenti ad alto potenziale che necessitano, a loro volta, di strategie didattiche coerenti con la loro speciale condizione.

“La scuola italiana è la più inclusiva al mondo. Insegniamo addirittura agli altri come si fa inclusione, va bene? Non abbiamo nulla da imparare. Docenti di vari sindacati di altri Paesi europei sono venuti a vedere come funziona l’inclusione qui in ItaliaLa nostra è l’unica struttura scolastica al mondo che obbliga gli alunni extracomunitari anche non accompagnati ad andare a scuola. E’ un elemento di integrazione dove siamo i primi al mondo. Mi piace pensare che tutti gli elementi di terrorismo in Francia qui non ci siano perché abbiamo fatto una buona inclusione. La scuola italiana si è evoluta ma molti non la conoscono e chi dice che la scuola non funziona è un nemico di questo Paese. Chi ama la scuola non deve limitarsi a tagliare i nastri ma deve conoscere i miracoli che si fanno nelle scuole italiane ogni giorno. La scuola ogni giorno salva dalla strada tanti ragazzi e però trattando il suo personale peggio che si può. Ci sono anche le eccellenze ma nelle scuole italiane e c’è una normalità di persone che svolgono la professione per passione e però te la fanno passare. Se devo fare la guerra contro chi ti vuol far fare l’impossibile ti fa passare la voglia”.

Come giudica la promessa di “valorizzazione e sviluppo del personale scolastico”, legata alla formazione?

“Lo faccia. E’ lei il ministro. Lo faccia confrontandosi con i sindacati. Non ho mai trovato un ministro che abbia detto cose diverse: semmai non è mai riuscito a farle. Che è una cosa diversa”.

Che cosa chiedete?

“Prima di tutto risorse e stipendi perché lo stipendio dei docenti italiani sono i più bassi in Italia, rispetto ad altre categorie e rispetto ai colleghi in Europa e per un mestiere a cui si chiede sempre di più. Un docente non lo fa solo per una questione economica, si porta a casa le angosce, l’attività non si chiude con la chiusura dei cancelli della scuola. Ti porti a casa i problemi e vivi come un fallimento se non li risolvi. Occorre restituire al docente la dignità del lavoro e invece che cosa facciamo? Il precario non è abbastanza bravo dopo dieci anni di servizio, e via via gli altri ritornelli. Insomma, si dicono delle cose, se ne fanno delle altre. Si pensi inoltre ai Pon”.

In che senso?

“Con i Pon si fa recupero dei progetti e delle risorse invece che recupero dei ragazzi. Se le mie energie le devo usare per fare i Pon e i Por (Programmi operativi nazionali e regionali, ndr) che spesso non hanno tante ricadute sugli alunni, le userò meno con gli studenti. Invece di risolvere i problemi del ragazzino che ha problemi a casa, ci si guarda in cagnesco per chi si deve prendere il Pon. Non si fa nulla se i docenti singoli non fanno squadra e i dirigenti si vanno a cercare i collaboratori che fanno solo questo e abbandonano quasi la classe. La corsa a partecipare ai bandi toglie energie, devi spendere energie per il bando non per quello che devi fare dopo”.

Eliminiamo i Pon?

“Non sto dicendo che vanno tolti i Pon e i Por, ma va utilizzato un altro strumento per assegnarli alle scuole. La scuola nasce per fare formazione e didattica e mi pare che formazione e didattica stiano diventando compiti secondari. Non si può svolgere come secondario un compito primario. Sono cose importanti, ma se tutte le energie si devono concentrare su questo e non sugli alunni qualche riflessione va posta. E torniamo all’autogoverno della scuola, alla quale si chiedono cose che non può fare”.

Altro punto fondamentale dell’Atto di indirizzo è l’innovazione digitale

“La scuola di per sé è un organismo vivo. I nativi digitali sono nelle aule. L’insegnamento è totalmente diverso. Si insegna e si impara vicendevolmente. Lo strumento non può sostituire gli obiettivi. Il supporto digitale serve per avere conoscenze migliori ma non può sostituire il pensiero e le persone, li può solo aiutare in senso positivo nella didattica. Già i ragazzi e le famiglie vivono con lo smartphone e basta pensare alle chat dei genitori per capire quanti danni potrebbe creare la digitalizzazione nella scuola. La scuola si deve autogovernare anche negli elementi di innovazione. Occorre metterli al centro della didattica e vedo che ogni docente già lo fa. Lo deve far meglio e mettendo più risorse e più autonomia degli organi collegiali”.

La ministra promette l’ implementazione del Sistema nazionale di valutazione

“Se ne facciano una ragione: misurare non è possibile. Alla lunga te lo dicono gli studenti: professore, mi hai cambiato la vita. Il vero problema è dare la possibilità di svolgere un’altra professione a gente che lavora nella scuola ma che ha sbagliato mestiere. Fate i giudici di pace, fate un’altra cosa ma da un’altra parte poiché come un insegnante bravo cambia la vita a un alunno, anche uno cattivo lo fa. Peraltro, per valutare occorre capire di che cosa si stia parlando. Mentre il neoliberismo vuol valutare ogni cosa, nella scuola non si può usare questo modello di mercato. Non si può misurare nel momento dato. Ritorniamo agli antichi greci con il principio che anche l’otium e non solo il negotium serve per crescere. E l’equilibrio tra otium e negotium lo deve stabilire la comunità scolastica in libertà. Chiedo che la scuola sia una comunità che si autogoverna. Ci sarà un dirigente, ma non può essere l’uomo solo al comando, altrimenti la scuola diventa una caserma e le caserme hanno sempre prodotto distruzione. Le prove Invalsi negli Usa hanno portato a un loro ripensamento, i ragazzi sono valutati dai propri docenti e nessuna prova Invalsi si può sostituire a loro. Il docente conduce una valutazione personale e se qualcuno vuol valutare i docenti è fuori dal mondo. Non si può valutare un docente nel suo produrre emozioni, sapere, desiderio di conoscenza. Ma in un mondo in cui tutto è governato dal liberismo è difficile che la scuola ce la faccia a difendersi. Il mercato esclude secondo le regole del mercato. Nella scuola si deve fare esattamente il contrario: si prende il più debole e lo si rende pari, cioè si fa esattamente il contrario. Invece spesso si crea competizione in classe tra gli alunni. La scuola invece deve dare delle regole, deve indicare una strada. Più avanti ci sarà una società che valuterà quello che è stato fatto. La scuola deve far bene il proprio lavoro, deve creare coscienza critica e libertà di pensiero che spesso fa paura al potere politico. Invece una scuola che omologa non serve a nessuno. Ma tutti parlano di scuola come si parlasse di calcio, tutti commissari tecnici. La scuola deve essere una palestra di democrazia, una palestra di scontro generazionale”.

Veniamo all’accesso alla professione e ai concorsi

“Ci sono limiti ai concorsi. I concorsi non accertano le migliori persone. La vera innovazione è questa: fare i concorsi e poi per un anno la scuola forma i docenti e li mette alla prova, come nei concorsi straordinari. E’ una tradizione che dovrebbe esaltare una specificità e la valutazione non deve essere fatta dal concorso ma da un percorso in situazione. Penso sia contestabile la convinzione che il concorso sia la panacea di tutti i mali. Esso serve per operare una selezione visto che ci sono meno posti rispetto ai concorrenti ma poi chi vince si sottopone a una valutazione a seguito di un anno di formazione, dopo di che si può dire: basta. E invece no, si sente dire che la formazione è perenne. Significa che vuoi fare di me un automa, ma questo è un indottrinamento. Ad esempio, ricordo che ogni anno ci sono cinque giorni di formazione ai quali i docenti hanno il diritto di partecipare per aggiornarsi, ma i dirigenti spesso dicono di no. Allora vuol che uno deve seguire i soliti tromboni. Con il sistema delle agenzie formative plurali si riesce a fare formazione interessante e infatti, quando facciamo formazione noi, c’è sempre un sacco di gente che viene, perché sente di aver esigenze diverse e nello specifico, e dunque uno va a cercare quel che a lui serve, non quello che dice la ministra Azzolina. Non credo negli obblighi: tu puoi obbligare uno a fare una buca ma non a formarsi in una cosa in cui non ha interesse”.

La ministra infine promette infine pagamenti rapidi da parte dell’Amministrazione. Almeno questo…

“E’ il mio sogno nel cassetto: io lavoro e devo essere pagato. E non sembra essere un dato acquisito, se è negli obiettivi del ministro”.


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