INTERVISTA / Turi: dai docenti risposta positiva all’emergenza

La notizia tanto attesa è finalmente arrivata: tutti gli studenti sono stati ammessi alla maturità. Gli esami si terranno mercoledì 17 giugno alle ore 8:30, la prova sarà soltanto orale, divisa in quattro fasi, durerà un’ora e si terrà alla presenza dei candidati, pandemia da Coronavirus permettendo. La commissione sarà composta da 6 membri interni e da un presidente esterno, così gli studenti saranno valutati dai docenti che conoscono il programma che hanno avuto. Lo hanno svolto a scuola e a casa con la didattica a distanza.
Sciolto un nodo, ne restano altri e non di scarsa importanza, tutti compresi nella domanda: cosa succederà a settembre se e quando partirà il nuovo anno scolastico?

Ne abbiamo parlato con Pino Turi, segretario generale Uil Scuola. Sposato con una maestra, padre di due figli, una medico, l’altro pubblicitario, Pino Turi si è laureato in scienze politiche, con un brillante percorso come docente di diritto ed economia. Si dedica all’attività sindacale sin dai primi anni ’70, quando entra a far parte della Uil Scuola. E’ stato nella Segreteria Confederale della Uil di Taranto, segretario generale provinciale della Uil Scuola di Taranto, per approdare alla segreteria nazionale nel 1998. Dopo aver ricoperto il ruolo di segretario organizzativo, da luglio 2015 è segretario generale della Uil Scuola.

Apriamo subito con la maturità. Gli esami sono stati organizzati nel migliore dei modi?
«Siamo alla vigilia degli esami e restano le difficoltà, indotte dall’emergenza, che condizionano necessariamente ogni procedimento, ma non giustificano il permanere dell’attuale situazione di incertezza.
Esami semplificati, con una interrogazione orale davanti ad una commissione costituita dagli insegnanti della classe ed un presidente esterno: questa l’ipotesi prevista dall’ordinanza.
Resta ancora da sciogliere la riserva, se farli in presenza o da remoto. Tutto dipenderà dalle misure di tutela della salute che saranno necessarie per dare sicurezza agli studenti, ai docenti ed i lavoratori della scuola».


Come si concluderà, invece, l’anno scolastico per tutti gli altri studenti?

«Per gli esami di terza media e per gli scrutini delle classi intermedie sarà fatto tutto da remoto. L’esame conclusivo del primo ciclo, infatti, si basa su una tesina da illustrare al consiglio di classe in collegamento con un sistema sincrono di video conferenza che sulla base del percorso scolastico, attribuirà la votazione finale su una griglia di valutazione prestabilita.
Per le classi intermedie, tutti gli alunni saranno ammessi alla classe superiore con una valutazione e con l’impegno di recupero nell’anno successivo se non sarà stata raggiunta la sufficienza».

Ed è una soluzione accettabile?
«Siamo di fronte ad una soluzione che nasconde una buona dose di ipocrisia, ben celata da una propaganda che cerca di minimizzare l’esistenza di problemi tra cui la didattica a distanza (Dad) che un milione e mezzo di alunni non ha potuto seguire per mancanza di devices o di connessioni idonee.
Altra difficoltà concreta sarà la mancanza di continuità didattica per gli alunni, che non potranno recuperare con gli stessi docenti che li hanno seguiti in questo anno scolastico».

Come hanno affrontato, il ministro e il governo, i problemi sorti a causa dell’emergenza sanitaria?
«Al momento l’unico intervento (scontato) è stato chiudere le scuole. Per il resto, oltre ad una chiamata alla digitalizzazione, attraverso una sorta di crociata per la didattica a distanza che andrebbe più propriamente rimessa nel suo ambito naturale: quello di una strategia educativa, sono i docenti che hanno dato una risposta positiva all’emergenza e non altro».

Come ha risposto, invece, il mondo della scuola?
«La scuola e il suo personale hanno dimostrato una vitalità impressionante e imprevista, assieme ad una straordinaria capacità di resilienza del sistema.
I docenti si sono letteralmente inventati, con strumenti e risorse proprie, un sistema per essere vicini agli studenti e alle famiglie. Ha dato una risposta, quella possibile, ad un’emergenza mai vista prima».

Il lungo blocco dell’attività didattica era l’unica soluzione possibile?
«Si, almeno se dobbiamo credere, come crediamo, alla scienza. Non c’era alcuna altra possibilità, invece rileviamo la mancanza di strategia complessiva che va dall’emergenza alla riapertura, che dovrebbe più propriamente essere basata su un progetto di ripartenza.
Le condizioni organizzative attuali non danno possibilità di riapertura, se si pensa ad un ritorno alla normalità».

Ma cosa serve per un ritorno alla normalità?
«Serve una ripartenza complessiva, con una visione di sistema e di investimenti che compensino le politiche dei tagli che si sono succedute negli ultimi vent’anni.
La pandemia ha condannato senza appello le politiche neo liberiste basate sul principio “meno Stato più mercato”, salvo rendersi conto, nel bisogno, che senza Stato si è soli.
Oggi, i neoliberisti di ieri, chiedono sussidi allo Stato. Quel sostegno che negavano quando pensavano che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi ed avrebbe annullato le differenze. La realtà è ben altra, e bisogna cambiare registro.
La pandemia ha messo in evidenza problemi preesistenti che meritano interventi strutturali ed investimenti che ora vanno programmati anche alla luce di un nuovo New Deal che l’Europa si appresta, con fatica, ad offrire».

Il governo, il ministro, potevano fare scelte più coraggiose?
«Le scelte coraggiose le deve fare ora. Superata la fase acuta dell’epidemia, ha pochi mesi per dotarsi di un progetto strategico per un settore che rappresenta il futuro economico e sociale del paese.
Si tratta di investimenti nelle infrastrutture di edilizia scolastica che vanno adeguate, ne vanno costruite di nuove, vanno riprogettati gli spazi lavorativi. Servono presidi sanitari per la protezione, la prevenzione e la vigilanza sanitaria che non è utile solo all’emergenza ma che rappresenterebbe una infrastrutturazione moderna di medicina della prevenzione per proteggere la salute della parte più importante del paese che sono i nostri figli e nipoti, che hanno bisogno di protezione e cura, oltre che di educazione ed istruzione».

Come trovare i fondi, in questo tempo di crisi nera?
«Proprio il MES, senza condizionamenti, potrebbe rappresentare la fonte di finanziamento per una spesa, in protezione del sistema nazionale di istruzione, direttamente correlata alla sanità e al coronavirus.
Inoltre, vanno aumentati gli organici, il tempo scuola, diminuito il numero di alunni per classe, quindi più docenti e più personale ATA.
Le politiche di austerità del 2018 tagliarono oltre 250mila posti di personale. Fu un licenziamento di massa, che ora chiede conto di un sistema in difficoltà».

Quali sono le carenze dei vari decreti?
«Al momento i decreti sono stati pensati, nell’ambito di un intervento minimale che serve per arginare l’emergenza: stanziare 70 milioni per dotare di devices chi non ha la possibilità di acquisto, assumere temporaneamente mille tecnici di supporto all’uso della tecnologia digitale, è il minimo sindacale. Sono interventi tampone, con effetto annuncio, ma con scarsa incidenza reale».

Quindi, occorre ben altro?
«Serve una visione strategica che affronti il passaggio da questo al prossimo anno, con provvedimenti straordinari. Ciò che registriamo, invece, è un andare avanti con le procedure di sempre, senza prefigurare risposte ai problemi che arriveranno per l’avvio del prossimo anno. Serve più lungimiranza.
Occorre un provvedimento legislativo organico, che stiamo rivendicando con forza, per consentire la chiusura dell’anno in corso e la riapertura del prossimo. Siamo in forte ritardo, in attesa del lavoro della task force guidata da Patrizio Bianchi, insomma troppi consulenti e poche azioni. Il tempo stringe».

C’è stato un confronto con i sindacati di categoria, per arrivare a una condivisione, o sono state decisioni calate dall’alto?
«Con questo ministro i rapporti sono stati ed ancora restano conflittuali, in primo luogo per la convinzione del ministro di voler fare da sola.
Un approccio sicuramente indotto dalla sua esperienza politica, da collegare anche al movimento che la sostiene, che ha una visione sovranista e pensa a politiche di disintermediazione dalle forze sociali, dimenticando che in emergenza bisogna lasciare da parte le ideologie e trovare il massimo di coesione possibile.
Dalle crisi si esce con l’unità e la condivisione, specie se si vuole governare un settore di un milione di lavoratori, otto milioni di studenti e sedici milioni di genitori. Con queste dimensioni sociali si capisce immediatamente che non è possibile alcuna politica autocratica.
Qui si tratta di principi base: democrazia e partecipazione.
La scuola è una istituzione costituzionale, non dovrebbe essere terreno di scontro politico neanche tra opposizione e maggioranza, figuriamoci sul livello della rappresentanza sindacale.
Sono i lavoratori che fanno funzionare il sistema scolastico, al meglio. Sono loro che devono sentirsi protagonisti di un progetto che non può essere bypassato da sistemi sovranisti di comunicazione diretta.
Contribuire a stabilizzare i precari, con un concorso straordinario che tutti invocano (anche nella maggioranza di governo e nel Partito Socialista) sarebbe già una risposta per chi lavora da anni nelle nostre scuole e per rendere più disteso un confronto che ora appare tutto in salita».

La didattica a distanza, che sicuramente è servita a tamponare l’emergenza, è in concorrenza con la tradizionale didattica in presenza?
«La DaD, la didattica a distanza, non è succedanea di quella in presenza. Può essere solo complementare alla didattica in presenza, a cui non può fare concorrenza. Non c’è partita.
Se ne sono accorti tutti eccetto qualche fanatica avanguardia che pensa che la tecnologia possa sostituire il pensiero. La tecnologia serve all’uomo per vivere meglio ed è strumento, mai fine. Non può sostituire i rapporti interpersonali che sono l’elemento costitutivo dell’attività didattica ed educativa che la digitalizzazione non può sostituire.
Il lavoro del docente, e l’insegnamento conseguenziale, sono una sapiente combinazione di sentimenti di emozioni, di sguardi, di rimproveri, di apprezzamenti, di interazioni interpersonali che meritano di non essere mai messi in discussione, meno che mai per fini economici, per un qualche risparmio finanziario.
Temi che non tengono conto dei gravi problemi di privacy, che ci sono e sono particolarmente importanti, visto l’utilizzo di piattaforme private che trattengono una grande mole di dati, e fanno riferimento a minori.
Anche questo sarebbe tema su cui riflettere».

Amica o nemica, quindi, di insegnanti e studenti?
«La DaD non va demonizzata, né esaltata. Tutto serve e può integrarsi con la didattica tradizionale, ma serve la sapiente attività dei docenti, in grado di progettare gli interventi didattici ed educativi delle singole scuole.
E’ la scuola dell’autonomia che ha l’onere di elaborare e realizzare le migliori condizioni di apprendimento, nell’interesse di tutta la comunità educante, e in particolare del diritto allo studio di tutti gli studenti, e non solo di quelli che hanno alle spalle un terreno sociale positivo.
La scuola, quella costituzionale, deve funzionare come ascensore sociale, proprio perché deve pensare a tutti, e agli ultimi in particolare. Deve offrire pari opportunità e non allargare le distanze che permangono nel nostro Paese e che, anzi, sono in aumento».

Quali sono le proposte della Uil per il prossimo anno scolastico?
«Nelle misure per la maturità e per il nuovo anno scolastico bisogna dare peso all’autonomia scolastica non alla burocrazia. Non serve solo assistenza ma un progetto per la scuola. Bisogna avere chiaro il quadro delle responsabilità e mettere in sicurezza, studenti, insegnanti, personale, dirigenti e famiglie.
Ecco in estrema sintesi che cosa serve:
1) Serve un protocollo condiviso con le parti sociali per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro così come è stato fatto per altri settori produttivi.
2) Serve una gestione che coinvolga gli Enti proprietari, cioè Comuni e Province, per interventi di edilizia scolastica;
3) Serve spazio per l’autonomia scolastica delle scuole, coinvolgendo gli organi collegiali, la contrattazione decentrata, per l’organizzazione e gli orari.
4) Servono presidi sanitari di medicina preventiva e protezione di alunni e lavoratori.
5) Servono misure di igiene e sanificazione, con organici adeguati.
6) Serve un uso consapevole e diffuso dei DPI e dell’informazione preventiva;
7) Serve l’assunzione diretta e non tramite gli enti locali e le Ausl di personale e di O.S. per l’assistenza particolare agli alunni disabili;
8) Serve un grande piano di assunzioni a partire dalla stabilizzazione degli attuali precari – docenti, ATA, DSGA – facenti funzione che potranno garantire continuità in questo e nel prossimo anno;
9) Serve una corretta valutazione del tempo, che non è ininfluente. Servirebbe, almeno per il prossimo anno, una modifica del calendario scolastico. Andrebbe ridiscusso con le Regioni che ne hanno la competenza;
10) Serve una lotta serrata contro la burocrazia, eliminando ogni velleità di management, per decidere di governare la scuola come comunità educante, in stretto contatto con la comunità territoriale e le famiglie.
Un decalogo che dovrebbe finire in un provvedimento organico, dove vengono messe insieme tutte le tessere di un mosaico e che il Governo ed il Parlamento dovrebbero assumere per guardare alla scuola che ci sarà».


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