Il benaltrismo dei fautori del decreto sul reclutamento
Di Pino Turi
I fautori del Decreto Reclutamento iniziano a parlare di occasione perduta per la scuola. Ci riferiamo all’intervento dell’economista Andrea Gavosto, pubblicato oggi sul suo giornale di riferimento.
È evidente quindi un fatto. Questo sforzo legislativo e le relative forzature della riforma, incominciano a perdere paternità e si inizia a rifugiarsi nel “benaltrismo”. Il risultato? La conferma di ciò che andiamo dicendo da mesi. Il DL 36, elaborato senza alcun tipo di confronto con chi poi lo deve attuare, è semplicemente inapplicabile. Non solo. È anche inutile, o meglio è utile, ma solo alla propaganda e all’ideologia del pensiero unico.
Non ancora paghi di ciò che è stato fatto ( male), si continua a pensare a ulteriori trasformazioni genetiche della nostra scuola, con l’introduzione delle carriere.
Accesso, incentivi, carriere. Sarebbe questo il cuore del problema. Per loro, l’obiettivo resta sempre il lavoro docente, sotto attacco, tra l’altro, da almeno vent’anni.
Siamo stati sempre scettici, e lo siamo ancora di più alla luce del recente decreto, sull’adottare modelli che nulla hanno a che fare con il nostro sistema scolastico, sostanzialmente basato su istruzione e integrazione. Da questo punto di vista, la scuola ha dato prova di ben funzionare, di essere resiliente e abbastanza flessibile. Ha dato risposte attese dai cittadini, tanto che oggi, sul versante dell’integrazione, la si porta come parametro di valutazione dell’assegnazione della cittadinanza, attraverso lo Ius Scholae.
Insomma, a elaborare queste pseudoriforme che vorrebbero cambiare la fisionomia, in funzione della produzione e del profitto, sono gli stessi che poi invocano la bontà del sistema scolastico, quale potente strumento di integrazione.
Siamo davanti dunque a grandi elementi di contraddizione, che vanno analizzati, non solo riguardo gli effetti, ma anche sulle cause, non abbastanza approfondite, che li determinano.
Si afferma, giustamente, che la qualità degli apprendimenti è legata alla qualità dell’insegnamento; che non si riesce più a trovare docenti e che i docenti abbandonano la loro professione, scoraggiati dalla percezione di un lavoro poco prestigioso e mal retribuito.
Prestigio e retribuzioni insomma, rappresentano i sintomi di un malessere profondo. Bene, sono anni che si sostiene il superamento dell’insegnamento per conoscenze, a favore di quello per competenze, facili da acquisire anche fuori dal circuito formale insegnamento/apprendimento. Una delegittimazione costante e continua della funzione costituzionale di istruzione in favore di un servizio da mettere sul mercato, per giustificare continui tagli di spesa di ogni genere anche quello stipendiale del personale.
Pensare di risolvere questi mali di sistema con la modifica dell’accesso – formazione iniziale, con gli incentivi e con le carriere del personale, senza porsi il problema di incrementare gli investimenti finanziari a livello dei paesi UE – allontana dalla realtà fattuale di ciò che è necessario e persegue la strada ambigua e perdente delle riforme a costo zero.
Ma vi sembra naturale che per dare dei soldi in più e pagare in modo decente un docente, scusate il bisticcio di parole, si debba cambiare lavoro? Vi sembra naturale che per aumentare la qualità dell’insegnamento si debbano richiedere funzioni diverse da quelle dell’insegnante?
Vi sembra normale che per aumentare la qualità dell’insegnamento si debbano svolgere altre funzioni riducendo l’impegno quali-quantitativo nel lavoro d’aula?
Insomma la questione delle carriere risolverebbe solo l’ambizione (giustificata) di pochi di un aumento retributivo, lasciando i molti nelle classi, più mortificati e più demotivati di prima. Non ci pare che sia la risposta alle giuste e giustificate domande iniziali, quella della qualità e di dignità del lavoro di un docente.
Noi continuiamo a ritenere che più ci si allontana dal sistema scolastico costituzionale, maggiori saranno i danni a cui dovremo fare fronte.
Ci servono docenti motivati e capaci? E allora concentriamoci su questo, smettendo di inseguire facili illusioni. Questi sistemi vanno bene per l’impresa, per natura ancorata alla produzione. Questi sistemi consentiranno positive competizioni lavorative (carriere) ma calibrarli sulla scuola è di certo molto più complesso e di dubbia efficacia. Perché? Perché la scuola non è un’impresa, è una comunità, una comunità che ha bisogno di sentirsi apprezzata, utile e riconosciuta nella sua unitarietà.
In conclusione, questa riforma non fa nulla di ciò e che, invece è l’ennesimo tentativo (non riuscito), di riforma a costo zero o addirittura negativo.
Forse sarebbe il caso di cambiare strada e adottare politiche di investimento e rilancio di un’istituzione che non va trasformata o rottamata, ma curata ed amata, magari con amore affettuoso.