IRASE / Intervista a Mariolina Ciarnella sul PNRR: “Va superato il rischio di pensare alla scuola con le stesse regole con cui si guarda al mercato”
Presidente, che metodo ha utilizzato per studiare a fondo il PNRR?
Ho iniziato ad analizzare il documento attraverso l’analisi delle parole, perché la conoscenza lessicale è importante per capire, in profondità, quanto si legge. La parola scuola viene citata trentasette volte. La parola istruzione trentatré, mentre per quanto riguarda il termine educazione arriviamo a sole due volte.
Digitalizzazione, transizione ecologica, inclusione sociale, istruzione e ricerca, coesione e salute. Come giudica nel dettaglio l’aspetto scuola. Qual è il bilancio?
La prima riflessione riguarda la pretesa di dover dettare la linea della riforma della didattica e della metodologia d’insegnamento. Il tutto, avviene attraverso un documento concepito per indirizzare in modo razionale straordinari capitoli di spesa e non solo: suscita stupore il fatto che un documento finalizzato a illustrare impegni di spesa pubblica straordinaria si soffermi su aspetti tecnici che coinvolgono la professionalità docente, aspetti che dovrebbero essere, invece, oggetto di discussione in altre sedi.
Nell’apertura del documento, la scuola viene definita come “il luogo dove si costruiscono le competenze e si acquisiscono le abilità; sono questi i presupposti per diventare cittadini preparati, critici e partecipi”. La convince questa definizione?No, e questo ci fa capire subito che la scuola intesa dal PNRR non è quella pensata dalla nostra Carta costituzionale.
Cosa vuole dire?
Vengono utilizzati termini come “competenze” e “abilità”, che sono il “saper agito”. Si tratta, cioè, di performance e quindi l’intento è chiaro, l’obiettivo è quello di formare giovani solo operativi.
Nel testo del PNRR viene dato molto spazio al tema del divario territoriale. Che ne pensa di questo aspetto?
Le risorse economiche destinate alle aree critiche sono assolutamente modeste ed il motivo potrebbe essere dato dal fatto che non si vuole intervenire sulle criticità per cercare, nei limiti del possibile, di portare la scuola italiana e quindi gli studenti ad una preziosa competitività nel contesto internazionale. L’obiettivo è quello di cambiare radicalmente il sistema, semplificando di molto quanto appreso negli anni scolastici, per adattarlo ad esigenze esterne che non sono quelle degli studenti visto l’inserimento in un mercato del lavoro fortemente competitivo, caratterizzato da scarse garanzie e dalla precarietà permanente.
Cosa ne pensa del fatto che si indichi la Scuola come “ soggetto deputato a guidare la transizione verso l’innovazione tecnologica e la sostenibilità ambientale, come leva fondamentale per l’educazione allo sviluppo sostenibile (AGENDA 2030 e SDGs)»
Ciò appare strumentale. La scuola in sé può offrire una preparazione culturale generale e non possiamo avere tutta la responsabilità per la transizione! Forse si dice così perché la scuola dovrà fornire mano d’opera adatta alle richieste che provengono dal tessuto economico. Mi chiedo: in questa direzione sono da leggersi le proposte di riforma del sistema di orientamento e di ampliamento della sperimentazione dei percorsi di istruzione superiore di II grado quadriennali, da 100 a 1000?
Arriviamo quindi alla riforma degli ITS…
E’ interessante quanto si legge sull’inserimento nelle realtà produttive per i percorsi tecnici e professionali, però è anche vero che in questi contesti, puntare solo all’«istruzione terziaria professionalizzante» e sulla «presenza attiva nel tessuto imprenditoriale» sacrificando i contenuti di più ampio contenuto culturale significa impedire agli stessi di poter sperare, proprio attraverso la scuola, di accedere a un futuro professionale e intellettuale diverso e più gratificante. Infine, affidare alle imprese la presidenza degli ITS e la governance relativa, con soldi pubblici, appare più un regalo a Confindustria che una buona operazione culturale di livello strategico e strutturale. La transizione ecologica costerà e difficilmente il settore privato vorrà ammettere transizioni che abbiano ricadute sui costi delle imprese.
Innovazione digitale ma anche riduzione del numero di alunni per classe. Qual è il suo punto di vista su questo?
Se la composizione di una classe avviene con un numero ridotto di studenti allora si arriva all’obiettivo di creare un vero gruppo classe che valorizza le personalità di ogni singolo alunno ed il cui insieme forma quella comunità di cui tanto si parla nei documenti ministeriali.
La funzione del docente viene intaccata dal PNRR?
Si , viene intaccata perché si parla nel PNRR di un progetto di trasformazione del percorso triennale universitario veramente preoccupante. In quanto nel primo triennio dell’Università si vuole annullare quanto più possibile la caratterizzazione disciplinare dell’indirizzo scelto. In pratica, i primi tre anni di Università sarebbero una sorta di grande Liceo, dove recuperare gli elementi di cultura generale persi con la riforma delle scuole secondarie di II grado.
Il Piano prevede la realizzazione di una Scuola di Alta Formazione, che ne pensa?
Lo ritengo un attacco ai contenuti dell’articolo 33 della Costituzione. Da una parte si cerca di attrarre parte della componente docenti con la promessa di una gratificazione stipendiale tutta da quantificare; dall’altra, si ricorre alla coercizione, dando ulteriori poteri al Dirigente scolastico, che dovrà dare prova di «leadership educativa», nonché di capacità «organizzativa e gestionale» per far sì che le scuole siano «poste nelle condizioni di poter erogare servizi adeguati.
Un ruolo, dunque, fortemente condizionante del Dirigente Scolastico che finora è stato in parte contrastato in diverse scuole, laddove è ancora presente una forte consapevolezza dei propri diritti da parte del Collegio dei Docenti. La Scuola di alta formazione, costituita da due carrozzoni burocratici l’Indire e l’Invalsi, si pongono in posizione conflittuale assommando la responsabilità del sistema di valutazione nazionale con quello della formazione continua: il controllato che controlla il controllore, insomma. Un ritorno al centralismo con brusco colpo di arresto dell’autonomia scolastica.
La riforma degli organi collegiali è una conseguenza di tutto questo?
Proprio per tale motivo, e questa ci sembra la novità più importante contenuta nelle Linee guida, è prevista la riforma degli organi collegiali, ponendo fine alla democrazia effettiva presente nelle scuole attraverso i Decreti delegati. Sono questi che ancora consentono ai docenti di operare resistenza e resilienza e che, intelligentemente, dal punto di vista dei neo- riformatori, si vogliono sostanzialmente bloccare nelle loro prerogative di governance, facendone un docile strumento dell’uniformità educativa e pedagogica che si vuole imporre ai docenti.
Si riferisce al punto dedicato all’autonomia degli organi collegiali?
Questa non è autonomia, è eteronimia. La formazione è un diritto allo sviluppo professionale e personale, non un dovere da assolvere in vista di una progressione di carriera. E non può essere eterodiretta secondo quanto proposto dal Ministero.
In conclusione, come possiamo definire il progetto educativo del PNRR?
Il progetto educativo sarebbe il frutto di una collaborazione totale dove interverrebbero «le famiglie, gli educatori e tutti gli attori del territorio» che «devono contribuire a concertare il progetto culturale ed educativo della scuola rendendosi disponibili a collaborare con dirigenti e insegnanti […] per far sì che il mondo entri nella Scuola e la Scuola vada nel mondo».
In ultimo, per “indorare la pillola” scrivono: «le istituzioni locali, le organizzazioni produttive e sociali, l’associazionismo, il volontariato e il terzo settore» per «raccordare l’educazione formale con quella non formale ed informale». La verità è invece quella di ridurre la Scuola alle regole del mercato del lavoro e ridimensionare l’apprendimento formale.
Intervista di Paolo Riggio