Piano Colao / Le misure per il paese reale e per quello che ancora non c’è

Non si può tenere separato il Paese reale (quello che noi rappresentiamo), dal Paese legale (quello che il Piano tende a migliorare).  Più le due realtà divergono, in questo momento politico sono all’opposto, più ci allontaniamo dalla soluzione.

La nostra analisi non può e non vuole essere meccanicistica, impersonale.
E’ quella vissuta sul campo, che ne recepisce stati d’animo, aspirazioni, paure, sentimenti dei protagonisti: lavoratori, studenti, famiglie.
Quelli per cui si scrivono i piani, ma che non compaiono mai.

In 13 capitoli, 22 schede la lettura del c.d. Piano Colao offre l’impressione di un lavoro ben confezionato, somiglia ad una relazione da esporre al CdA.

E’ nelle premesse che viene fatto un generico riferimento alla task force del Ministero, ma poi tratta sostanzialmente le ragioni dell’Università e della Ricerca e relega la scuola ad un’analisi generica e sommaria. Un vero errore perché dovrebbe essere l’architrave a sostegno di un progetto organico di sviluppo.

L’esigenza di riformare il sistema scolastico appare più come un’enunciazione, che come esigenza realmente avvertita. Lo stesso schema di analisi utilizzato: contesto, azioni specifiche, realizza un meccanismo di azione/reazione nemmeno mediato da valutazioni di ordine educativo, geopolitico e socio-economico.

La rimozione delle cause ostative per l’accesso ad un’istruzione aperta a tutti gli studenti, da sola, dovrebbe prevedere misure calibrate sulle disparità di accesso e tendere alla conclusione dei corsi di studi. Significherebbe operare una prima cesura di ordine sociale, di cui si avverte il forte bisogno e che, invece, non compare in alcuna parte dell’analisi effettuata.

Analisi che non può limitarsi a registrate la mancanza degli strumenti (device, reti informatiche, schede, etc.), che, al più, ne rappresenta il tratto finale.
Questi aspetti andrebbero ricompresi in un nuovo e rivoluzionario sistema di welfare sociale composto da un mix di mezzi finanziari e di beni strumentali in grado di colmare le disuguaglianze che, nel corso dell’emergenza epidemiologica, sono aumentate in modo esponenziale, ma che nulla hanno a che fare con l’esigenza di investimenti strutturali nel sistema scolastico statale del Paese.

Il tema della divisione delle competenze tra soggetti istituzionali diversi non viene nemmeno sfiorato. Le esigenze di università e scuole autonome, devono, nel Piano  Colao, continuare ad essere assoggettate ai ritardi ed alla scarsità di mezzi di cui dispongono gli enti locali che continuano ad averne le competenze di carattere tecnico – normativo.
Regioni, Province e Comuni governano i rispettivi ambiti con atteggiamenti estremamente sperequati, diversificati anche a seconda delle latitudini.

Nel capitolo intitolato alla modernizzazione dei sistemi di istruzione e di ricerca al fine di adeguarli a standard europei e internazionali (schede 78 e 79 della relazione Colao) offrono in modo preoccupante, la visione di scuola che si vuole perseguire: una scuola funzionale al profitto e alla produzione.
Un’ottica che spinge verso lo spostamento, in via ordinaria e sistematica, della scuola in presenza in favore della didattica a distanza, con la straordinaria enfasi sull’utilizzo di piattaforme digitali, riporta in auge un’idea di scuola che fornisce servizi, da erogare all’utenza.
Competenze spendibili con poche conoscenze, una sorta di apprendistato lavorativo e omologante per tutti. Siamo alla mutazione genetica della scuola della Costituzione.

Per i cultori di modelli partoriti nei centri studi confindustriali e delle fondazioni satellite (magari prima della pandemia) una scuola modulata su pacchetti formativi da acquistare può persino apparire affascinante.

E’ di palmare evidenza la sottovalutazione di un rischio che in realtà è una certezza: il progressivo affidamento dell’istruzione dei cittadini a servizi erogati da privati, particolarmente attivi nell’affinare strategie che permetteranno loro un progressivo e metastatico ingresso nel mondo della formazione.

Dalle scuole di tendenza all’istruzione utile, in mano ad interessi di parte che non guardano al bene comune ma a ricchezze senza paese. Per Paesi senza più ricchezza, culturale e non solo.

La stessa Europa, si consulti il dibattito interno alla Commissione Cultura, mette in guardia proprio su questo pericolo, peraltro inserendo anche una riflessione sui rischi di un progressivo divario digitale: il cosiddetto digital divide.

Il Piano non affronta il tema dell’autonomia scolastica rallentata e modificata dalla burocrazia amministrativa.

La duplicazione di competenze sancita dalla riforma del Titolo V della Costituzione in materia di formazione andrebbe rivisitata, considerata la sua totale insufficienza verificata nel corso di un ventennio 2001 – 2020, riorganizzandola.
Un po’ come è accaduto alla sanità: venti modelli cangianti a seconda delle regioni, ma accomunate tutte da un’ampia insufficienza di risultati.

Persevera nell’errore di confondere scuola ed istruzione con la formazione professionale che deve essere in grado di offrire strumenti utili per il mercato come l’alternanza scuola/lavoro. Strumenti concepiti proprio per ridurre il miss match domanda/offerta. Volerle affidare alla scuola che ha un’altra funzione, è un errore da modificare.

Sul livello universitario, sempre in tema di carenze che si dovrebbero poter affrontare, non si rileva nessun accenno ai tirocini formativi, sia a quelli curriculari che extracurriculari, che continuano ad essere momenti di totale anonimato per gli studenti, anzi, spesso risultano destinatari utilizzatori di prestazioni lavorative a costo zero e senza alcuna  minima prospettiva di impiego.
Prevale l’idea fissa di non remunerare, con apposite risorse,  il percorso di formazione che dovrebbe essere considerato lavoro da riconoscere e non parcheggio per i giovani.

Ugualmente ignorato il tema dell’accesso programmato agli studi universitari (numero chiuso), che continua ad essere lasciato alla gestione egoistica ed esclusiva dei rispettivi ordini professionali.

Nessun accenno è dedicato al modello di relazioni sindacali e alla contrattazione che dovrebbe accompagnare la legislazione, flessibilizzando e adattando i modelli organizzativi a seconda delle specificità territoriali, sempre in un’ottica di scuola unitaria, prevenendo le divisioni insite nel progetto di autonomia differenziata.

La sensazione netta che si rileva è che gli elaboratori di questi Piano siano molto distanti dal Paese reale, che è decisamente più complesso e disarticolato da quello descritto.

Infine, quel salto che si richiede al sistema scolastico in tutte le sue articolazioni andrebbe accompagnato da un piano organico e coerente di investimenti, elevato almeno al livello della media europea (sino ad oggi, è al disotto di 1,5 punti di PIL).
Ma anche di questo, che è pure un tema economico, non si scorgono tracce.


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