Una scuola laica, egalitaria ed inclusiva: è questo il modello a cui facciamo riferimento

 

  

Per noi la scuola è una funzione dello Stato e non può essere delegata al privato se non per consentire una sua convivenza alle condizioni della Costituzione che 70 anni fa già disponeva misure per garantire l’istruzione di tutti, al riparo dalle diatribe laici-cattolici.

E’ questo il punto di partenza dell’intervento di Pino Turi durante la tavola rotonda organizzata questa mattina a Milano dalla Uil Scuola Lombardia.

Tra gli ospiti, insieme a Valeria Fedeli, Valentina Aprea, Camilla Sgambato, Francesco Schianchi, paolo Ramazzotti, anche Suor Monia Alfieri.

La tesi di suor Monia Alfieri non è particolarmente innovativa, nè originale e tanto meno moderna  – ha detto Turi – cambia solo il nome e la rende più scientifica: costo standard di sostenibilità.

Calamandrei le definì sussidio alla famiglia, più di recente Berlusconi e Valentina Aprea l’hanno chiamato buono scuola. Si tratta di finanziamento pubblico alle scuole private, vietate dalla costituzione e in questa città aggirato dal sussidio dato dalla Regione Lombardia per 24 milioni alle famiglie, 9 milioni alle scuole dell’infanzia direttamente e 4,5 milioni per la disabilità.

L’altra questione sollevata nel dibattito viene dall’analisi dei dati Ocse, che ribadiscono la necessità di puntare sulla scuola per promuovere una crescita equa del Paese, ma che vengono chiamati a dimostrare le diverse possibilità di accedere all’educazione.

Proprio oggi si riuniscono a Bruxelles i responsabili delle Finanze e dell’istruzione del consiglio europeo.  Il monito che viene dal CSEE è di fare attenzione alle spinte verso la privatizzazione dell’istruzione.

Secondo il sindacato europeo «la dipendenza dai mercati per fornire beni pubblici come l’istruzione non è né efficiente né efficace» e «la responsabilità primaria dei governi di aumentare gli investimenti nell’istruzione pubblica e di progettare i budget dell’istruzione pubblica in modo da fornire risorse sufficienti, certe e sostenibili».

Così mentre in Europa c’è un ripensamento complessivo sulle politiche finanziarie e sull’offerta pubblica dei sistemi di istruzione – ritorna sul tema, Turi – in Italia stiamo indietro e pensiamo che il modello da seguire sia ancora quello ancorato alle logiche di mercato. Inseguiamo, insomma, un modello che ha già fallito.

Una visione cieca, una vera e propria fede nel mercato e nelle sue regole.
Senza considerare che i dati possono essere manipolati sulla base delle tesi che si vogliono sostenere.

L’esempio classico che piace ai cultori del neo liberismo, come per esempio, sono le graduatoria sulla vivibilità delle città: al vertice, troviamo sempre Bolzano, se si prendono alcuni parametri come il rispetto delle regole, la produttività, il reddito, la disoccupazione, il traffico. Se si cambiassero i parametri come il clima, il cibo   probabilmente cambierebbe la graduatoria e ci accorgeremmo della qualità di altre città.

La concorrenza tra scuole, che secondo l’idea liberista produce qualità, nell’istruzione e nella scuola è deleteria, divide e non unisce, omologa alle mode e non è innovativa.
Si rischia di perdere l’immenso patrimonio che la scuola della Repubblica lascia in dote a questo paese.

Il riferimento diretto è il modello della sanità che si vorrebbe applicare alla scuola.
Rischiamo un danno irreversibile. Peggiore di quello che già sta attraversando la sanità con ospedali senza personale e cliniche private a cui vengono indirizzati i fondi regionali.

Altra questione è il modello autoreferenziale della scuola privata, che disconosce la partecipazione, non ama molto le differenze, e si colloca come scuola di tendenza e non scuola laica di tutti.

Solo lo Stato può garantire una scuola laica, egalitaria ed inclusiva;  infatti, l’elemento fondante della scuola statale sono gli organi di partecipazione democratica, che consentono anche a genitori ed alunni di condividere ed essere componenti della comunità educante senza gerarchie e differenze che si trovano, invece, nella scuola privata che sceglie i suoi docenti per risponde in termini di offerta formativa ai fini per cui è nata.

Lo Stato, nella nostra costituzione, non si è limitato a tenere per sé il diritto di dettare le norme generali per l’istruzione, ma ha voluto che fossero anche gestite direttamente, disponendo che lo stato istituisce sue scuole in ogni ordine e grado di scuola.

Non uno Stato regolatore, quindi, ma uno Stato gestore diretto. E non si tratta di scuola di Stato dovendo dare conto della sua azione al Parlamento e non al Governo.

E’ la scuola di tutti e per tutti, che deve garantire la libertà di insegnamento.
Il punto dunque è che non si tratta di economia e di ricette neo liberiste, ma di democrazia e partecipazione.


Condividi questo articolo: