La lettera di Pino Turi in merito all’editoriale del Direttore Feltri del 6 dicembre: “Perché esiste la classe degli asini”.

Gentile Direttore,

nel suo editoriale di giovedì 5 dicembre afferma che «gli studenti italiani, specialmente quelli del Sud, sono pressoché analfabeti», che «la scuola e le famiglie sono ignoranti perché non leggono», che il «loro linguaggio è miserrimo».

Lei teme che «gli stessi professori, abbiano difficoltà a spiegare ciò che essi stessi non comprendono appieno». Chiude il suo editoriale con un «cenno alla qualità di chi sta in cattedra». «Gli insegnanti sono mal pagati, accettando di guidare una classe

Preferisco pensare che Lei sia inciampato nella penna o nei tasti.
La sua fama di giornalista che non ha mai dubbi, pronto a giudizi sferzanti questa volta incappa in un a serie di affermazioni che non inquadrano correttamente la situazione del nostro sistema di istruzione.

Mi permetta di nutrire dei dubbi: in primo luogo sulle modalità con le quali la ricerca Ocse è stata effettuata. Come Lei ben saprà queste ricerche vengono commissionate.  L’ottica e la messa a confronto dei dati ne subisce gli effetti. I 79 paesi coinvolti hanno caratteristiche culturalmente non comparabili.
I livelli più alti in lettura e matematica sono concentrati in quattro provincie della Cina.
Vogliamo considerare democrazia e libertà come fattori negativi per i processi di apprendimento?

Altra questione che vorrei segnalarle è quella legata a quanto i test non misurano: pensiero critico, curiosità, creatività. Leggere e far di conto sono le basi di un’istruzione che si può misurare con i test.
Lo sviluppo di un pensiero critico, l’autonomia di pensiero, sono quanto ci aspettiamo da una scuola che offra a tutti possibilità conoscenze libere e di qualità.

In altro quotidiano – mi permetta di fare questo passaggio – negli stessi giorni, sullo stesso tema, il ricordo di un lettore, nella rubrica di Augias, risponde alla domanda: «a che serve studiare?».
«Ad evadere dal carcere. L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare. In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. (…)».

La riflessione veniva posta su coloro che riescono ad evadere, e a quelli – proprio quelli che lei punta come analfabeti – che rischiano «l’ergastolo dell’ignoranza».

La scuola ha questo compito formidabile: riconoscere i talenti di tutti. I talenti diversi e unici che ogni persona ha in sé. Il modello di scuola a cui pensiamo e al quale stiamo lavorando ogni giorno – perché è una vera e proprio battaglia culturale – è laica, statale, inclusiva, di qualità. E’ diritto e non servizio.

La scuola è una comunità democratica e partecipativa che contribuisce alla tenuta della democrazia del paese.

Non si può passare da una categoria di eroi sociali a quella di incompetenti totali che non sono in grado di svolgere il proprio mestiere. Certo ci sarà pure qualche docente, di quelli che lei descrive, ma è una condizione che colpisce ogni categoria.

La scuola statale di questo paese è sotto attacco da tempo: dalla politica che vorrebbe controllarla, dai privati che vorrebbero sfruttarla, dalla società che la critica, dalle mille difficoltà dei cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie.

Ha subito negli ultimi decenni processi riformatori che l’hanno, sostanzialmente, peggiorata.  Trattata con le regole di un supermercato: scegli i tuoi studi, i tuoi insegnanti e decidi chi è bravo e chi no, decidi se aumentargli lo stipendio o diminuirlo. E l’hanno chiamata buona scuola.

Lei ha ragione: dobbiamo tornare agli antichi valori.
Aggiungo: dobbiamo fare in modo che la scuola assuma la funzione che gli è propria, quella di comunità educante. La vera buona scuola è quella che insegna il pensiero critico, quella che consente allo studente di farsi un’idea propria e, magari di poter meglio competere nella società.
Regole e condizioni sociali che la scuola non si può limitare a trasmettere, ma tradurre, decondizionare, per indurre cambiamenti virtuosi.

Un ruolo che la scuola di un paese moderno in continua evoluzione, deve svolgere, ma non lo può fare da sola serve un nuovo patto che ridia slancio e ruolo alla scuola e ai suoi insegnanti che questo compito devono svolgere. Proprio quelli che definisce «malpagati», «indigenti», «frustrati», in una «condizione disonorevole».

Ecco quegli insegnanti, che meriterebbero la firma di un nuovo contratto, che non c’ è stato per quasi dieci anni, che è stato rinnovato con il miraggio delle nuove elezioni, e che ora è scaduto di nuovo, quegli insegnanti raccolgono la fiducia degli italiani e la scuola è al terzo posto tra le istituzioni che ricevono maggiore considerazione nel nostro Paese.

Cordialmente

Pino turi
Segretario generale Uil Scuola

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