Scuola a distanza: dopo l’allarme dei filosofi

Appello di 16 intellettuali per salvare l’insegnamento tradizionale.
L’attività in classe non si può rimpiazzare dai monitor del Pc

La didattica a distanza non può essere il futuro della scuola, politica e sindacati raccolgono l’appello degli in­tellettuali presentato su La Stampa da Massimo Cac­ciari e il giudizio è pratica­mente unanime. Per tutti la tecnologia può essere uno strumento in più da usare, ma nelle aule perché nessun tablet o computer può sosti­tuire il rapporto diretto con gli insegnanti e la socialità che la scuola offre.
Nell’ap­pello, firmato da 16 esponen­ti della cultura, viene denun­ciato appunto il rischio che quello che ha imposto l’emer­genza coronavirus diventi quotidianità, cioè che si va­da verso una «definitiva e irreversibile liquidazione del­la scuola nella sua configura­zione tradizionale».

Su questo tema riportiamo l’analisi fatta nel pamphlet – 14 punti di riflessione per un modello
di scuola che guardi ad un nuovo umanesimo – realizzato in occasione della Conferenza nazionale Uil Scuola a Fiuggi nel dicembre scorso. Tra i temi anche quello delle tecnologie e del sapere, del nuovo umanesimo vs liberismo:

“La priorità nella formazione, a nostro parere, deve essere invece in funzione di un nuovo umanesimo che – con l’istruzione, i saperi e le competenze – generi cittadini che possano godere di pari condizioni e condividano il benessere che le nuove tecnologie porteranno in termini di valore aggiunto, da utilizzare come dividendo dell’economia sociale, dell’economia solidale, dell’economia locale, dell’economia cooperativa e non di soli profitti per gli azionisti privati che dalla competizione sempre più spinta creano differenze sempre più marcate tra chi possiede e consuma e chi, invece è povero.
I poveri sono aumentati in maniera insostenibile in questi venti anni di competizione che se pure porta alla crescita del PIL, questo resta nelle mani di pochi.
Quindi una scuola che dia conoscenze e non solo competenze spendibili con l’ausilio delle nuove tecnologie, anche il prossimo secolo si presenterà con una discriminate tra che è istruito ed è portatore di una conoscenza che conta, rispetto ad una che non conta”.

Tema che si è riproposto in tutta la sua ampiezza in questi giorni, nei quali gli effetti sociali della pandemia cominciano ad apparire in tutta la loro interezza.  La scuola per prima.

Nei link gli articoli usciti in questi giorni sulle pagine de La Stampa e quello di oggi di Alessandro di Matteo: La scuola sposa la tradizione. Il nostro futuro resta in aula.  Dove Turi così commenta:

Pino Turi, segretario gene­rale Uil Scuola, esordisce con un «finalmente c’è qual­cuno che reagisce all’omolo­gazione! Sulla didattica a di­stanza sono stato sempre cauto. Ammetto che in quel momento è stato l’unico mo­do per essere vicino ai ragaz­zi. Ora basta.Si è usata nell’e­mergenza, ma qualcuno vuo­le utilizzare l’emergenza per altro. Non è succedanea, è complementare tutt’al più. Allarga le diseguaglianze e i docenti si sono accorti che i bambini sono in imbarazzo, dopo un entusiasmo inizia­le, c’è un calo di apprendi­mento. Pensare di essere mo­derni perché si usa il digitale lo trovo riduttivo».


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