DL Sostegno, audizione alla Camera – MEMORIA UIL SCUOLA RUA

Il 18 giugno 2024 si è tenuta alla Camera dei Deputati un’audizione dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca”. Vi riportiamo l’intervento di Roberto Garofani della Segreteria Nazionale Uil Scuola Rua.

Audizione
VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione
Camera dei deputati
Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con
disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di
università e ricerca

MEMORIA UIL SCUOLA RUA

In merito al D.L. 71/2024 – A.C. 1902Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca”, la Federazione Uil Scuola Rua si è già espressa in diverse occasioni in maniera propositiva in merito ai provvedimenti contenuti nel D.L. in oggetto.

In questa sede, in riferimento ai provvedimenti inerenti la scuola, mettiamo in evidenza e motiviamo le nostre analisi e considerazioni seguendo con ordine gli articoli di interesse specifico dell’ambito di pertinenza sindacale della nostra organizzazione.

Rispetto alle disposizioni normative di cui al Capo II (Disposizioni urgenti in materia di sostegno didattico agli alunni con disabilità), con riferimento all’art. 6 in cui è prevista una nuova offerta formativa di specializzazione sul sostegno, erogata da INDIRE, e dedicata, in base al comma 2, a coloro che abbiano prestato servizio su posto di sostegno per almeno tre anni scolastici, anche non continuativi, nei cinque anni precedenti, evidenziamo innanzitutto la drammatica situazione emergenziale, in termini di precarietà, in cui attualmente si trova il nostro sistema di istruzione.

È di tutta evidenza che il problema è principalmente legato ad un sistema di reclutamento fallimentare, che nel corso degli anni, e quindi con la responsabilità diretta di chi ha gestito il Ministero dell’Istruzione e del Merito negli anni scorsi, ha prodotto un numero esorbitante di precari, come risulta da un nostro studio analitico e dettagliato (reperibile sul nostro sito Uil Scuola Rua cliccando QUI): nel 2015 gli insegnanti precari erano 100.277, nell’anno scolastico appena trascorso i docenti con contratto a tempo sono stati 234.576: 134.299 in più in 8 anni. Se si guarda agli insegnanti di sostegno la situazione si ripete: la percentuale di precarietà, negli anni considerati, è raddoppiata, passando dal 29% del 2015 al 59% nel 2023. Se si mette questo dato in relazione al totale degli insegnanti di sostegno di ruolo si vede chiaramente che in otto anni il loro numero è rimasto praticamente al punto inziale: erano 88.956 nel 2015, 88.498 nel 2023. Ad una parziale stabilizzazione del personale (+ 1,46% del 2023) fa da contrappeso una crescita esponenziale del personale precario. Oggi, su un totale di 217.796 insegnanti di sostegno, 129.298 sono precari. È un numero esorbitante per qualsiasi Paese civile, sottaciuto anche in termini di informazione presso l’opinione pubblica. E’ necessario programmare per tempo ed approcciarsi ai problemi del nostro sistema di reclutamento in maniera assolutamente razionale per rendere il sistema efficiente e strutturale, in virtù di quella continuità didattica da garantire agli alunni che rappresentano il futuro di questo paese.

In merito a quanto previsto all’art. 6, è opportuno, come da noi sempre rivendicato, intervenire anche con l’eliminazione del numero chiuso delle università per l’accesso a corsi di specializzazione sul sostegno e stabilire un collegamento tra il numero di posti disponibili e il reale fabbisogno a livello nazionale di insegnanti di sostegno. Un fabbisogno calcolato dalle singole Università che negli ultimi anni non è mai corrisposto adeguatamente alle necessità dell’intero Paese. Una soluzione che oggi avrebbe posto la nostra scuola in una condizione di sicurezza ed efficienza educativa migliori in termini di diritti degli alunni con disabilità. L’altro aspetto che non è stato mai preso in considerazione, anche questo da noi più volte rivendicato, è la necessaria progressiva trasformazione dei posti dall’organico di fatto (al 30/6) all’organico di diritto (al 31/8), che permetterebbe la stabilizzazione di migliaia di docenti di sostegno su cattedre ormai consolidate e che rispondono alle vere esigenze delle scuole anche in termini di continuità didattica dell’alunno disabile.

L’indisponibilità dei Governi e dei ministri che si sono succeduti a prendere in considerazione tali opzioni ci ha visto, come evidenziato nei molteplici incontri degli ultimi anni, sia sul livello Amministrativo che politico, proporre in alternativa di affrontare la questione del reclutamento sul sostegno attivando corsi e procedure dilazionate nel tempo, riguardo a tutti quei docenti che già erano in cattedra e procedere alla loro formazione in itinere al fine di assicurare la loro stabilizzazione. In questo senso, resta ferma la nostra rivendicazione, di un sistema di reclutamento che includa, in maniera strutturale, i docenti inseriti nelle GPS. Ci appare, quello dell’art. 6, un tentativo frettoloso di chiudere una partita in poco meno di due mesi se si vuole far iniziare l’.a.s. 2024/25 in un modo leggermente diverso dagli altri anni.

In riferimento all’ articolo 7 (Percorsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità per i possessori di titolo conseguito all’estero, in attesa di riconoscimento) esso rappresenta una battuta di arresto da parte dell’Amministrazione scolastica. La questione della omologazione agli standard dei TFA italiani dei titoli esteri è cosa arcinota, tanto che il ministero due anni fa ci annunciò che sarebbe stata istituita una task force grazie all’impiego di risorse, con cui si sarebbe agito nell’immediato, per analizzare ogni pratica e dare una riposta celere e puntuale alle oltre 11.000 richieste di riconoscimento dei titoli esteri. Annunci e nient’altro.

Come ribadito dal nostro Segretario generale Giuseppe D’aprile, dobbiamo salvaguardare quello che per noi rappresenta il fiore all’occhiello della nostra scuola. Affermazione questa ripresa e che ha trovato concorde anche l’On. Sasso. L’inclusione degli alunni con disabilità funge da modello per tutti i paesi europei, i quali si recano in Italia per studiarlo anche in considerazione del fatto che siamo stati i pionieri nell’eliminazione delle classi differenziali nel lontano 1977. 

Senza entrare nel merito delle varie procedure per l’accesso all’acquisizione dei titoli esteri e al contempo avere comprensione e rispetto per chi ha intrapreso tale strada (in molti casi perché non ha avuto accesso al TFA per via del numero chiuso) la scelta che attualmente viene prospettata in questo articolo 7 del D.L. è solo la certificazione di un grande ritardo nel progettare e affrontare una questione importante per la scuola italiana. Infatti la richiesta di rinunciare a qualsiasi procedura legale sta lì a dimostrare che si tratta di un’operazione tesa in primo luogo, anche se ammantata di buoni propositi come da altisonanti dichiarazione, a salvaguardare l’amministrazione da una valanga di ricorsi in essere. Non si tratta neanche di un condono (almeno avrebbe potuto avere secondo alcuni punti di vista, non nostri ovviamente, una sua dignità) o di un intento pedagogico, ma solo di una mera questione di opportunità, che determina anche condizioni di risentimento e anche di frustrazione per coloro che hanno intrapreso un duro corso di studi con il TFA. Fatto questo che nella scuola non dovrebbe mai verificarsi.

Rimaniamo convinti che la strada maestra rimanga quella prospettata inizialmente, ovvero la valutazione in tempi brevi di ciascun titolo.

 

L’articolo 8 (Misure finalizzate a garantire la continuità dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno) rappresenta innanzitutto un assurdo giuridico, che darà seguito ad una ondata di contenziosi di cui la scuola non ha assolutamente bisogno.

Infatti, consentire la possibilità di assegnare una cattedra sulla base del gradimento dei genitori rappresenta l’annullamento di ogni garanzia sancita da graduatorie che hanno sempre rappresentato il fondamento giuridico e costituzionale nell’assegnazione di una supplenza.

Ci permettiamo inoltre di sottolineare come un metodo che lascia la scelta ai genitori, in particolar modo in riferimento a quelle situazioni familiari disagiate, favorisca un sistema di clientelismo e di facile ottenimento del consenso di un genitore. Sarebbe un sistema inaccettabile di vincoli e consensi che è in netto contrasto con il nostro sistema statale e costituzionale, garante di laicità, trasparenza e pluralismo.

Per tali motivi per la Federazione UIL Scuola RUA ritiene che tale articolo non entri a far parte del provvedimento legislativo in discussione.

L’articolo 10 (Disposizioni in materia di reclutamento del personale docente per l’anno scolastico 2024/25) rivolto sia ai docenti della scuola secondaria di I e di II grado che alla data di entrata in vigore del Decreto-Legge abbiano superato il periodo di formazione e prova e siano in servizio da almeno tre anni a seguito dell’immissione in ruolo con riserva per aver partecipato al concorso 2016 in forza di provvedimento cautelare, sia ai docenti che hanno partecipato alle prove suppletive dei concorsi ordinari per la scuola primaria e dell’infanzia e straordinari di I e II grado perché assenti per Covid alle prove ordinarie, ci vede favorevoli.

Si pone rimedio ad una vera ingiustizia da noi al tempo denunciata, che aveva visto l’applicazione rigida delle norme che non dovrebbe appartenere ad un sistema di reclutamento moderno e vicino alle persone che, durante il periodo pandemico, avevano un legittimo impedimento nella partecipazione alle procedure concorsuali.

L’articolo 11 (Misure per l’integrazione scolastica degli alunni stranieri), che risponde all’esigenza di implementare, in ottica inclusiva, gli strumenti funzionali ad una più compiuta accoglienza e integrazione scolastica degli alunni stranieri al fine di assicurare sempre maggiori e valide esperienze di crescita e di formazione individuale e sociale, nonché il raggiungimento di soddisfacenti livelli di apprendimento nelle competenze di base, ci appare una misura adeguata.  La condizione degli alunni stranieri, infatti, è garantita dal dettato costituzionale. Spesso questo diritto è negato dai lunghi tempi necessari per l’identificazione e poi per l’individuazione della scuola di inserimento. L’insieme delle misure contenute nell’art. 11 – rimodulazione degli organici, docente adeguatamente formato – va nella direzione giusta di una scuola veramente inclusiva e implica una seria e concreta programmazione, che resta comunque tutta da costruire e verificare per una sua piena attuazione.

La norma di cui all’articolo 13 (Misure in materia di valutazione dei dirigenti scolastici)

L’articolo 13 del DL 71/2024, modifica il precedente art. 25 del d.lgs. 165/2001, prevedendo che i dirigenti scolastici, inquadrati in ruoli di dimensione regionale, saranno valutati in base al nuovo Sistema Nazionale di Valutazione dei Risultati. La precedente Direttiva del Ministro n. 36 del 18 agosto 2016 avente ad oggetto “Valutazione dei Dirigenti scolastici” riportava la valutazione dei DS nell’alveo del sistema generale di valutazione in materia di istruzione e formazione (secondo quanto ribadito anche dal comma 93 della Legge 107/2015), ora invece si aboliscono i nuclei di valutazione e si crea un Sistema di valutazione specifico per la dirigenza scolastica, separato e distinto da quello applicato alle scuole. In questo modo il Dirigente scolastico diventa oggetto di valutazione separata rispetto al resto della comunità educante e dovrà unicamente rispondere riguardo al raggiungimento degli obiettivi strategici stabiliti dal Ministro. Se il Ministro decide l’esclusività della procedura di valutazione dei Dirigenti scolastici, le parti sociali avranno poche o nulle occasioni di razionalizzazione degli obiettivi strategici e di definizione dei criteri di valutazione: sarà importante invece capire chi valuta i dirigenti scolastici, cosa valuta, quali procedure si metteranno in campo. Per la Federazione UIL Scuola RUA tale rinvio all’articolo 15, comma 2, lettera a) del D.Lgs. 150/2009 deve essere abrogato, in quanto instaura un diretto collegamento tra valutazione dei dirigenti scolastici e volontà politica del Ministro.

La valutazione della dirigenza scolastica è direttamente connessa all’indennità di risultato percepita dai dirigenti scolastici all’interno del loro stipendio. Attualmente, tale indennità di risultato dipende dalla fascia di complessità della scuola (tre fasce di complessità su base nazionale, con una retribuzione di risultato con importi lordo dipendente di circa € 6.110 per la prima fascia, di € 4.988 per la seconda e € 3.867 per la terza). Secondo la Federazione UIL Scuola RUA deve essere garantito il regime retributivo vigente dei Dirigenti scolastici; il nuovo sistema di valutazione della performance dei dirigenti scolastici e la conseguente quantificazione dell’indennità di risultato potrà andare in vigore solo aumentando le risorse destinata attualmente al FUN, in modo che nessun dirigente percepisca in futuro una minore retribuzione di quella attuale.

 

L’articolo 14 (Disposizioni in materia di durata del servizio all’estero del personale della scuola), seppur apprezzabile nel tentativo di correggere le gravi criticità introdotte dal dlgs 64/2017 del 13 aprile 2017, in materia di mobilità professionale del personale della scuola all’estero, in precedenza disciplinata dalle norme del CCNL scuola, determina una evidente disparità di trattamento, in quanto concede esclusivamente ai docenti delle Scuole Europee al sesto anno di mandato di optare per un’estensione del servizio, escludendo tutto il restante personale scolastico in servizio al sesto anno che, dopo aver superato identiche procedure di selezione, operano nel Sistema della Formazione Italiana nel Mondo (SFIM). La modifica che sollecitiamo permetterebbe a tutti i docenti che si trovano nel sesto anno di mandato, indipendentemente dalla specifica istituzione scolastica in cui operano, di beneficiare dell’estensione del servizio, garantendo così una maggiore equità e contribuendo a risolvere in maniera più completa le problematiche generate dal D.Lgs 64/2017. La possibilità di garantire continuità nel percorso educativo non solo facilita l’apprendimento degli studenti, ma consolida anche il legame tra l’istituzione scolastica italiana e le famiglie degli studenti all’estero. Pertanto, limitando la possibilità di estendere il mandato ai soli docenti delle Scuole Europee non viene tenuto nella dovuta considerazione il bisogno di stabilità e coerenza educativa che è altrettanto critico per tutte le altre realtà scolastiche italiane all’estero

Alla luce di quanto esposto, chiediamo che il secondo capoverso del comma 2-ter introdotto dal decreto in oggetto sia riformulato come segue: l’opzione di cui ai commi 2-bis e 2-ter dell’art. 39, articolo 21 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, introdotti dal presente decreto, può essere esercitata entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto anche dal personale in corso di svolgimento del sesto anno di servizio nell’anno scolastico 2023/2024. Confidiamo nel Vostro impegno a favore di una scuola italiana all’estero più equa e giusta, capace di offrire a tutti i suoi operatori le stesse opportunità, indipendentemente dalla specifica collocazione geografica, di norme legislative in materia pattizia, che meritano un’urgente rettifica.

Le altre variazioni chieste riguardano l’art. 21 comma 1 del d.lgs 64/2017, sulla durata massima del mandato all’estero di15 anni, prevista dall’art. 116 del CCNL scuola 2006/09, l’abrogazione dell’art. 37 comma 8 per garantire la possibilità di partecipare ai concorsi per la destinazione all’estero al personale che ha già una permanenza all’estero di nove anni, la riduzione tra il primo e il secondo mandato all’estero del periodo di servizio in Italia attualmente previsto dal d.lgs 64 da sei anni scolastici a tre anni scolastici e la modifica della durata da 6 anni a 9 anni della validità delle graduatorie concorsuali per l’estero.

 

In merito Capo IV, art. 15 (disposizioni urgenti per lo svolgimento dell’attività di ricerca):

Pur condividendo l’auspicata ipotesi di proroga al 31 dicembre 2024 della possibilità di conferire “Assegni di ricerca”, come previsto anteriforma 2022 che ha sostituito gli “Assegni di ricerca” con i “Contratti di ricerca”, questa Organizzazione Sindacale ritiene di dover innanzitutto soffermarsi sulle peculiarità della figura professionale oggetto di questa disamina, nel mondo dell’Università e della Ricerca, per poi evidenziarne le principali criticità scaturenti da lacunosi e confusi interventi normativi.

L’assegnista di ricerca rappresenta una delle forme di impiego più precarie nel comparto universitario, caratterizzata da una marcata intermittenza in termini di “impegno lavorativo”, con una prospettiva di medio termine spesso non superiore all’anno, intervallata da troppo frequenti periodi di disoccupazione.

Altro tratto distintivo della precarietà degli Assegnisti in Italia è rappresentato dall’assenza di tutele giuridico-previdenziali e dall’insufficienza del trattamento economico (minimo annuo 19.367 euro al lordo degli oneri) loro dedicato. Trattamento che non garantisce il raggiungimento di quel fondamentale principio sancito dalla nostra carta fondamentale della “esistenza libera e dignitosa”.

L’aver disciplinato con l’art. 14 del D.L. n. 36 del 2022 il “contratto di ricerca”, rappresenta a parere di chi scrive, un – seppur flebile – passo verso il superamento della condizione di precarietà che affligge da sempre questa figura professionale. Consci della spinta Europea che ha dato avvio a questo processo di riforma, riteniamo opportuno oggi perseguirla passando in disamina non soltanto l’aspetto relativo al trattamento economico, ma concentrandoci anche, e soprattutto, sulla necessità di normare puntualmente gli aspetti giuridici e normativi di questa figura. Riteniamo necessario che ai futuri “contrattisti di ricerca” vengano riconosciute tutele e diritti oggi non previsti dai c.d. “assegni”.

La condivisa e auspicata implementazione del contratto di ricerca ha però portato alla luce, in sede applicativa, diverse problematiche. L’assenza di un nuovo CCNL che ne dettasse la disciplina, infatti, ha condotto le Università e gli Enti di Ricerca a non poter stipulare contratti di ricerca e a non poter adottare i relativi regolamenti di disciplina interna. Da segnalare inoltre i costi dei contratti di ricerca. Rispetto agli assegni di ricerca, quest’ultimi risultano significativamente più onerosi per gli Atenei e gli Enti di Ricerca. Il costo lordo per l’ente erogatore aumenterebbe infatti da ventiquattro mila euro annui a quasi quaranta mila euro e il contratto di ricerca, a differenza degli assegni, risulterebbe sottoposto a imposizione fiscale. Alla luce di quanto evidenziato, la previsione di un limite rigido (che si ritiene debba esser superato e/o reso maggiormente flessibile) sulle risorse destinabili ai contratti di ricerca, a parere della scrivente O.S., potrebbe impedire agli enti di bandire un numero sufficiente di posizioni, con conseguente rischio di un decremento di più di 6.000 unità.

Per far fronte alle individuate problematiche, il decisore politico ha scelto di prorogare il termine per l’indizione di assegni di ricerca al 31 dicembre 2024.

Tuttavia, per poter considerare questa ulteriore proroga come un intervento davvero condivisibile, è necessario che essa non rappresenti un rinvio sine die dell’entrata in vigore della riforma dei contratti di ricerca. Al contrario, è fondamentale che nel lasso temporale acquisito con questa disposizione, si concretizzi l’intento di dare compiuta ed organica attuazione alla riforma delle procedure di reclutamento nel sistema universitario.

In via generale, si coglie questa occasione per continuare a ribadire come il sistema della ricerca italiana necessiti di un adeguato rifinanziamento che sia in grado di garantire una crescita e uno sviluppo sostenibili, preceduto da un altrettanto congruo incremento dei Fondi di Finanziamento degli EPR e dell’Università.

In conclusione, il “nuovo contratto di ricerca” rappresenta senza dubbio un primo passo verso la tanto agognata stabilità e sostenibilità nel mondo accademico italiano. A tal fine, si ritiene opportuno individuare tra le modalità più efficaci per il raggiungimento di questo obiettivo, tenendo a mente gli impegni assunti nel PNRR, quella di scongiurare uno sconsiderato aumento delle posizioni da assegnista di ricerca, tendendo invece a una transizione più graduale e sostenibile verso il nuovo sistema di reclutamento.

 


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