CSEE: la ripresa passa dall’istruzione

Insegnare è mestiere o professione? La risposta non è scontata, né uguale in Europa.
Si deve parlare di mestiere che si costruisce con il tempo, che necessita di una formazione costante, di un indirizzo pedagogico, formativo, didattico?
O di una professione dove le scelte sono legate alla persona, alla sua capacità di scegliere e utilizzare gli strumenti più adatti alle circostanze, di decidere metodi e modi di insegnamento e di aggiornamento?

Esperienza, rigore, fiducia sono le parole chiave di un dibattito aperto che non esclude nessuna delle due possibilità, reso ancora più ampio dalle crisi in atto e da un quadro economico-finanziario che lascia poco spazio a previsioni massicce di investimento. I temi in discussione, in Europa, sono gli stessi che si stanno attuando – con la conversione nei giorni scorsi del DL 36 – in Italia. Un percorso che ci vede profondamente contrari e che contrasteremo in ogni modo.

L’eco delle parole utilizzate dal ministro dell’Istruzione italiano – “riaddestrare gli insegnanti” – sono arrivate anche all’estero tra l’incredulità e la preoccupazione. I temi dell’identità professionale, del diritto alla formazione, gli investimenti sul lavoro delle persone e sulla qualità dell’istruzione sono quelli posti al centro della risoluzione principale “Mobilitarsi per un’istruzione pubblica di qualità, per l’interesse degli studenti e per la valorizzazione del personale scolastico”.

 

Perché è proprio sulla scuola, sul sistema di educazione statale che puntano tutti i Paesi europei.
«Mentre – in teoria – viene promosso il dialogo sociale, in pratica sta accadendo l’esatto contrario» ha detto Larry Flanagan nella sua analisi in apertura della Conferenza Etuce.

Due crisi economiche in sequenza dal 2010, una crisi sanitaria che dura da febbraio 2020, una guerra alle porte dell’Unione Europea che ha già spinto più di 100 000 rifugiati nella sola Italia: le istituzioni europee ed internazionali tutte che continuano a sottolineare l’importanza del settore dell’istruzione per contrastare molti degli aspetti nefasti di tutte queste crisi.
I sindacati europei sono uniti nel rivendicare maggiore rispetto per la professione, maggiore autonomia, retribuzioni e condizioni di lavoro adeguate perché il sistema educativo europeo pubblico attraversa una fase delicatissima in tutti i Paesi.

E’ il quadro che emerge dal dibattito congressuale sui documenti approvati nel corso dei tre giorni di lavori congressuali, dove non sono mancati gli interventi della Commissione Europea e di esperti di dialogo sociale.

 

Nella risoluzione principale, approvata all’unanimità dall’Assemblea dopo il lungo lavoro svolto sui singoli emendamenti, si ritrovano temi fortemente sostenuti dalla Uil Scuola: la difesa della contrattazione collettiva, del ruolo negoziale e di tutela delle rappresentanze sindacati, la formazione come diritto e non come imposizione, meno che mai come strumento per definire percorsi premiali, la difesa della libertà di insegnamento come diritto costituzionale, la tutela della scuola pubblica dalle ingerenze del mercato.

Ancora una volta, la delegazione italiana composta da Francesca Ricci, Segretaria nazionale Uil Scuola, e Rossella Benedetti responsabile di segreteria Csee, ha posto l’accento sul riconoscimento del lavoro svolto dai docenti durante i momenti più critici della pandemia, sulla loro professionalità, sulla necessità di retribuzioni rispondenti al ruolo sociale. Il rinnovo del contratto – con negoziato in atto in Italia – deve essere il momento per il riconoscimento della professionalità, per la definizione di posizioni e profili professionali.

Diverse le sollecitazioni giunte nei due giorni di lavoro della Conferenza, raccolte negli interventi dei delegati e dai relatori chiamati ad intervenire su aspetti specifici.

Dobbiamo contrastare con forza la tendenza a precarizzare il processo di abilitazione alla professione docente – è la denuncia di un delegato proveniente dalla Spagna. Non possiamo permettere che venga considerato come lavoro low cost.

La proposta di definire uguale stipendio per i diversi ordini di scuola – è la richiesta giunta da un delegato della Danimarca, dove le differenze salariali tra i diversi livelli raggiungono il 200%

In che modo il dialogo sociale, e dunque il ruolo negoziale del sindacato, può essere un ‘game changer’, un fattore che cambia le regole del gioco, nella fase post-pandemia e supportare la ripresa, nel settore dell’istruzione? E’ questa la domanda cui ha cercato di dare rispostata Evelyn Léonard, docente della scuola di management di Luovain [la presentazione in inglese – nel link].

La difesa dei diritti fondamentali, libertà di pensiero, associazione e sciopero è stata ribadita dalla delegazione ungherese che ha fieramente raccontato l’impegno per superare i vincoli all’azione sindacale. In Ungheria il diritto di sciopero è stato ridotto da Viktor Orbán, solo una recente sentenza della corte ungherese ha fatto scudo a questa ingerenza.

Quanto agli investimenti destinati al sistema di istruzione pubblico – fatta salva la virtuosa situazione della Finlandia dove il peso sindacale ridefinisce le scelte – i sindacati europei sono uniti nel giudicare in modo critico le politiche nazionali rispetto agli investimenti destinati a scuola, università e ricerca.

Il punto sulle risorse del Pnrr e i sistemi nazionali di istruzione sono stati al centro della relazione di Stefaan Hermans, Direttore della Strategia politica e della valutazione presso la Direzione Generale Istruzione, Gioventù, Sport e Cultura. Fondi che l’Europa racconta come cospicui e che i singoli paesi membri, invece percepiscono, nelle ricadute concrete sui sistemi nazionali come non centrati sui reali bisogni.

E’ il caso italiano, dove i miliardi del Pnrr destinati alla scuola, lasciano fuori l’elemento principale: il personale (su questo si veda la scheda predisposta dalla Uil Scuola).

Un dato va segnalato: in molti Paesi cresce la difficoltà a reclutare nuovi docenti. I giovani si orientano verso altri settori perché stipendi e condizioni di lavoro vengono giudicate scoraggianti. Una tendenza che, in Europa, si ripete ormai da qualche anno al punto che, in alcuni paesi  ‘le generazioni future rischiano di avere docenti reclutati a caso o non averne affatto’.

Visto dall’Italia sembra uno scenario lontano, ma è un campanello d’allarme: procedure concorsuali inadeguate, burocrazia, condizioni di lavoro sempre più complesse e stressanti complicano e appesantiscono il lavoro che si fa a scuola e in classe. E diventare insegnanti è una scelta resa sempre più difficile.

Le altre risoluzioni poste al voto dei delegati sono complementari alla risoluzione principale e hanno riguardato:

–  gli interventi per la ripresa dopo la pandemia da collegare ai cambiamenti sociali in atto, alle misure che per la scuola debbono essere durature nel tempo, mentre resta ancora in sospeso il protocollo per la sicurezza per il prossimo anno scolastico.

l’intelligenza artificiale e il ruolo insostituibile degli insegnanti nei processi di apprendimento.
La politica- ha detto la pedagogista Kristin Vanlommel dell’Università di Utrecht – banalizza l’innovazione che gli insegnanti hanno realizzato, praticamente da soli.

I cambiamenti climatici e i processi di sostenibilità ambientale

– La guerra in Ucraina 

 

 

 

 

 

 

 

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