Le proteste e la scelta di una scuola che faccia pensare (e se possibile anche sognare)
… Noi sappiamo solo una cosa che l’istruzione e le conoscenze servono per rendere le persone davvero libere; non vedranno solo nella dimensione del lavoro la loro esistenza ma potranno utilizzare quella capacità di astrazione che solo la conoscenza può offrire ed inventare il loro futuro con la ricerca e la conoscenza…
Di Pino Turi
E’ grave che ci si accorga di qualcosa che non funziona solo quando ci sono manifestazioni di dissenso. Vuol dire che non c’è governo della realtà; o vi è la sottovalutazione di questa; o ancora le scelte sono frutto di ideologie non condivise.
Se poi, le manifestazioni le fanno gli studenti, la questione è ancora più grave nella misura in cui si esprimono come effetto di un malessere diffuso, che non può non essere un atto di accusa verso la classe dirigente del Paese, più preoccupata della crescita del PIL e della produzione, che del benessere diffuso su cui costruire il futuro.
Il futuro è dei giovani. Su questo non si discute.
E la scuola dovrebbe essere il luogo dove queste istanze vanno recepite, discusse, trasformate in azioni educative.
Per poterlo fare egregiamente, però, è necessaria una scuola libera, laica, democratica e partecipata di cui il Paese è dotato. Una fortuna, un faro che – a tutti i costi – le élite, i cosiddetti adulti, vorrebbero cambiare a loro immagine e somiglianza.
E’ qui il nocciolo del conflitto: la politica, assuefatta dalle lusinghe neo liberiste, vuole togliere la possibilità di esprimersi e contribuire al cambiamento. Gli studenti invece hanno sicuramente ragione a rivendicarlo.
Guardiamo la realtà con attenzione: questo paese non funziona più, si sono rotti gli ingranaggi democratici su cui opera ancora e non si sa per quanto ancora. E la scuola è risorsa viva e vitale per la testardaggine del personale che ha interiorizzato la sua professionalità e resiste al tentativo di mutazione genetica del sistema nazionale di istruzione.
Ora riformare la scuola avendo a riferimento un paese in crisi è vera e propria follia, nella misura in cui vorrebbe surrogarne la funzione – e che siano gli studenti a ricordarlo è assolutamente fatto positivo. Un punto da sostenere e sul quale la UIL Scuola non ha nessun dubbio a solidarizzare.
Un sostegno che parte dalla Costituzione e dai Decreti delegati che hanno disegnato la scuola democratica. Volerla cambiare significa tornare alla scuola autoritaria che questo paese più di altri ha conosciuto.
Serve responsabilità: dobbiamo interrogarci ed evitare di dare facili giudizi sui giovani che magari d’istinto reagiscono, come accade anche alle classi dirigenti, che sono sempre pronte a cavalcare le contingenze e mai ragionare sulle prospettive.
E’ sugli scenari futuri che bisogna guardare. Orizzonte che questi ragazzi hanno ben presente, diciamolo, forse anche grazie ai loro insegnanti che li hanno sostenuti nel loro cammino con l’impegno didattico, svolto con coscienza e competenza.
Pensare di condizionare l’azione didattica con riforme ideologiche (opinabili) come quella dell’alternanza scuola-lavoro, significa continuare a seguire un metodo che non funziona.
Predisporre per tutti, un obbligo generalizzato di alternanza, è un’idea che ci ha lasciato sempre perplessi. La pratica negli anni di tale obbligo ha offuscato anche le esperienze positive che pure ci sono state.
Noi l’abbiamo anche adottata e definita alternanza etica, proprio per sottolineare che l’etica del lavoro aveva bisogno di affermarsi. Per dare sicurezza, dignità e valore al lavoro. A specchio, lo stesso valore che ha lo studio.
Non ci pare che il mondo delle imprese abbia capito l’importanza di questa osmosi tra scuola e mondo del lavoro, che non ha regole educative al suo interno (come in classe), se non quelle della competizione e del profitto a tutti i costi.
Con i PTCO (percorsi di competenze trasversali ed orientamento) sembrava che ci fosse stato un ripensamento invece si continua a indebolire la missione centrale della scuola, quella educativa.
Si vogliono introdurre le competenze trasversali che altro non sono che la negazione dell’integrazione, dell’inclusione e dell’istruzione come elemento di crescita umana e professionale.
Si lavora sulla teoria delle competenze non cognitive (Skill Sic!) che, come noto, si basano su una teoria economica applicata al mercato e alla produzione che tende a selezionare lavoratori che hanno maturato capacità e abilità (non legate alle conoscenze) ma all’ambiente, legate al carattere e al temperamento dell’individuo.
Trasporre queste teorie, applicarle alla scuola, equivale ad una resa condizionata sulla funzione della scuola, quella almeno della costituzione che vuole essere inclusiva e che si base sullo studio e sulle conoscenze, escutere i vari e diversi talenti.
Compito educativo della scuola è dare pari opportunità a tutti, attraverso un percorso formativo che pur tenendo presente i punti di partenza, personali e sociali, sia in grado di colmare i divari e preparare i cittadini anche alla competizione che il mercato e la realtà della vita mette di fronte, nell’ambiente di apprendimento formale della scuola che fa e promuove comunità dinamiche.
E siamo al punto: è solo quando si è fatto ogni sforzo per mettere tutti sulla stessa linea di partenza, dopo aver insegnato i principi di solidarietà, di comunità che non discrimina ma include, che si costruiscono le basi della cittadinanza e della democrazia.
Non a caso ogni modifica che si vuole proporre per modernizzare la scuola parte della teoria economica per passare dal modello di mercato ai suoi meccanismi di selezione e valutazione.
E’ arrivato il momento di dire basta, e i docenti riuniti nei loro sindacati e associazioni, hanno provato a dirlo, quando hanno detto no alla buona scuola che di questi principi ne era portatrice.
Ora che lo fanno i ragazzi, dobbiamo essere fieri ed orgogliosi – e sostenerli – perché ci hanno capito a dispetto di una politica miope, che vorrebbe fare passare per scuola, l’apprendimento non formale e le competenze non cognitive.
Vorremmo ricordare che le riforme sono quelle che guardano al benessere e al futuro, mantenendo a riferimento gli insegnamenti del passato che non sono per forza negativi.
Se è vero che l’organizzazione del lavoro e della società dovranno operare la transizione verso modelli che non si conoscono ancora, e che molti mestieri saranno inventati nel futuro, non si capisce perché si inseguono gli interessi della produzione che guarda all’immediato e al profitto, al modello produttivo attuale che tutti ne rivendicano il superamento.
Potrà mai essere vero cambiamento se si privilegia costantemente il contingente rispetto alla prospettiva? Se i costi si vogliono trasferire sull’ambiente? Se si fa profitto sullo sfruttamento del lavoro?
Noi sappiamo solo una cosa che l’istruzione e le conoscenze servono per rendere le persone davvero libere; non vedranno solo nella dimensione del lavoro la loro esistenza ma potranno utilizzare quella capacità di astrazione che solo la conoscenza può offrire ed inventare il loro futuro con la ricerca e la conoscenza e, magari, sognando coltiveranno un pensiero divergente che preclude al vero cambiamento.
E’ questo principio che ha consentito (per contratto) negli anni ’70 di mandare a scuola gli operai perché acquisissero un titolo di studio e con esso nuove opportunità rispetto al ‘padrone istruito’.
Oggi si pensa di ridurre l’esperienza educativa, di introdurre precocemente l’esperienza lavorativa.
Negli anni 70 con i metalmeccanici abbiamo portato la scuola in fabbrica. Ora si vorrebbe portare la fabbrica a scuola. A che cosa servirà? Ad abbassare l’asticella del sapere degli studenti per arrivare a livello delle macchine? Quella di omologazione umana a misura del processo produttivo? A scuola stavamo studiando proprio il contrario.
18 febbraio 2022