L’Europa e il caso vaccini danno il segno che bisogna cambiare. La scuola è lo strumento per farlo.

Questa drammatica esperienza pandemica sta impartendo molte lezioni.
Restano i più riottosi all’apprendimento che continuano imperterriti a teorizzare ricette miracolistiche di natura neoliberista. Il mercato, regolatore di ogni situazione, mostra quanto questo sia effimero e sbagliato.

Le multinazionali, che del mercato fanno il loro credo, stanno dimostrando che va comunque regolato e per farlo serve la politica e lo Stato. Neanche una Europa unita è sufficiente a difendere i propri cittadini se delega interamente al mercato il compito di regolarne la vita.

L’Europa del risparmio, della visione privatistica del bilancio comune, sta scoprendo l’esigenza sovranista comune che eviterebbe un ritorno agli stati nazionali per tutelare gli interessi interni ad ogni stato. Ciò dimostra che la sovranità serve e la politica deve decidere, sia essa gestita in modo comunitario come del resto i padri fondatori pensavano.
Così l’America ha deciso di investire strategicamente sui vaccini ed ora gode del vantaggio geo politico di un novo modo di governare i rapportai tra gli stati.

Noi, anche con l’europeista Draghi, siamo arrivati a pensare che – se non ci pensa l’Europa – dobbiamo pensarci noi. Finalmente la lezione che arriva dal dogma del pensiero unico incomincia a vacillare.
Ora ci attendiamo che tale visione trovi, anche all’interno, un modo laico di governare, senza stereotipi e omologazioni affrontando i problemi per quello che sono: ridare allo Stato la sua funzione da regolatore a gestore diretto, per riconoscere i diritti dei cittadini. Salute, istruzione, sicurezza: ormai tutti si sono resi conto che solo lo stato può esserne garante.

Vediamo ancora anche un po’ goffamente i fautori del regionalismo arrancare dietro ad improbabili difese che non incantano più nessuno. Abbiamo visto come lobby e corporazioni hanno maggior influenza quanto più sono vicine ai centri del potere decisionale.

E’ arrivato il momento di cambiare narrazione e per farlo serve una politica che esca dal suo stato adolescenziale per diventare matura e pensare al bene collettivo, alla solidarietà.
Temi e valori trascurati negli ultimi venti anni, nei quali è stato culturalmente indotto il pensiero che se ne potesse fare a meno, sostituendolo con l’individualismo e la libertà concessa dal mercato.
Come fosse l’eldorado della nuova politica.

La lezione del coronavirus ci ha insegnato che quella strada va interrotta e va cambiata; ci ha lasciato un paese corrotto e diviso che potrà superare questa contingenza solo tornando agli antichi valori che la costituzione gelosamente custodisce. Uno di questi è la scuola costituzionalizzata.

Ora è il momento di trovare le risorse finanziarie e umane per ridarle ruolo e prestigio, a partire dal personale. Ruolo e prestigio che non ci sarà mai se l’unica preoccupazione che anima le forze politiche è di pensare alla scuola come luogo per custodire i figli e consentire ai genitori il tempo per ‘produrre’.

Se mettiamo insieme le questioni, come facce di una stessa medaglia, forse ne usciamo fuori, e anche bene, ma se si continua a confondere la funzione delle scuola con il servizio alle famiglie o alle imprese, imbocchiamo la strada pericolosa che ci allontana dal benessere sociale ed economico e ci porta alle crisi dei paesi senza anima.

Dobbiamo guardare ad una politica che metta in atto scelte complessive che sappiano realizzare un nuovo umanesimo, capace di riconsegnare identità culturale ad un Paese che, se vorrà intraprendere la strada delle diverse transizioni ecologica – digitale – sociale, potrà farlo solo con una scuola di tutti e di ognuno che non sia terreno di scontro politico come è stato negli ultimi decenni.

Clima di contrapposizione politica più che reale, poiché la scuola ha mostrato spazi di resilienza che dovrebbero servire da esempio al Paese, i cui elementi restano presenti anche con il governo Draghi chiamato a mettere il sistema nazionale di istruzione in funzione di un benessere collettivo, sottraendolo alle logiche politiche di consenso elettorale.

Nelle scelte per il bene comune andrà superata la logica di una politica buona solo a fare elezioni, messo un argine al potere che diventa sempre più antagonista dei cittadini, proprio loro che si stanno caratterizzando per essere migliori della classe politica che determinano.
Spiace che la politica, sia pure ridimensionata in questa fase, non se ne accorga.

Pino Turi
Segretario generale Uil Scuola


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