INTERVISTA / 1 – Turi (UIL): disposti a far slittare attività didattiche a giugno e luglio. Esame di Stato a settembre.

Pubblichiamo la prima parte dell’intervista pubblicata su Orizzontescuola, realizzata da Vincenzo Brancatisano, nella quale Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola fa il punto su scuola e emergenza in atto, affrontando i temi oggetto di ampio dibattito, dalla chiusura delle scuole alle strategie educative, dalle necessarie misure di contenimento del virus ai servizi minimi da mantenere ai sensi delle normative vigenti emanate in questi giorni, dalla mobilità ai concorsi.  Uno scenario che non ha precedenti e per questo da valutare con moltissima attenzione. Nel link il testo integrale dell’intervista. 

Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola, riflette con noi in questa intervista sulla pesante situazione connessa alla diffusione dell’epidemia del temibile Coronavirus Covid-19. Le attività didattiche sono state sospese in tutta Italia fino al 3 aprile prossimo, ora ci si interroga sul futuro. Intanto le scuole si sono attrezzate con la didattica a distanza. La situazione è una sorta di foto mossa. Alle scuole più attrezzate si accompagnano gli istituti dove si fa maggiore fatica a partire con le tecnologie. Il dato comune è che si è stati presi alla sprovvista da un’emergenza inattesa e dalle proporzioni inaspettate.

Pino Turi, torniamo all’emergenza. Alla fine si è arrivati alla sospensione dell’attività didattica fino al 3 aprile prossimo per tutta Italia…
“Sì, questa emergenza sanitaria si sta dimostrando più ostica del previsto, almeno a giudicare dai provvedimenti davvero drastici che hanno portato alla sospensione delle lezioni fino al 3 di aprile e speriamo che basti”.

E non si era preparati
Nessuno era preparato. La scuola non era preparata. Non c’è mai stato un progetto del genere e nessuno si poteva aspettare una cosa del genere che la scuola sta affrontando con le armi che ha”.

Comunque il virus non ha fermato la scuola. I ragazzi sono a casa, le tecnologie stanno dando una mano a tenere i contatti.
C’è un costante contatto con gli strumenti informatici, anche per non tenere i ragazzi in un senso di abbandono. E’ una strategia educativa, non un’alternativa didattica, altrimenti raccontiamo cose non vere e né credibili. E’ quello che si sta facendo con grande difficoltà anche da parte delle famiglie perché anche loro non erano preparate, come non lo erano gli studenti. Nell’emergenza si fa quel che si può e speriamo che finisca al più presto”.

Qualcuno paventa il rischio che con questa esperienza la didattica a distanza possa un giorno sostituire la didattica di presenza.
Chi pensa questo narra qualcosa che non ha attinenza con la realtà. Superiamo la crisi e poi facciamo discussioni serie sull’argomento, questo sì. Se qualcuno vuole invece fare sciacallaggio in questa situazione se ne assuma le responsabilità”.

A chi si riferisce?
Vedo una grande superficialità nel proporre piattaforme private, che certo possono avere un loro significato in un quadro generale. Questa corsa che io ho definito fiera della vanità non aiuta a superare le emergenze. Penso anche ai presidenti delle Regioni e ai sindaci, o a tanti dirigenti scolastici che si affrettano a mettere in evidenza la propria scuola invece che le altre su quello che stanno facendo. Io dico che si sta insieme, si fa comunità e poi si discute. Questa situazione mette in evidenza che la realtà virtuale non può superare le vere esigenze di comunità che sono insite nella natura umana”.

Dalle notizie che arrivano sembra che molti studenti non si stiano collegando alle piattaforme per le lezioni online. Del resto molte famiglie hanno più figli e non sempre in casa c’è il doppio pc, magari ci sono gli smartphone ma non è la stessa cosa. Non si rischia di perpetrare una nuova odiosa forma di digital divide?
Questa è un’emergenza mai vista. E’ la prima della storia. In tutte le altre catastrofi l’emergenza si poteva delimitare. In un terremoto si sa che ci sono mille ragazzi coinvolti, i loro docenti, si potrebbe trovare una alternativa davanti a numero definito di persone, di edifici crollati o da evacuare e mettere in sicurezza.

La nostra emergenza è totale. I numeri sono impressionanti. Sono coinvolti 800.000 docenti, 7 milioni di alunni, 14 milioni di genitori, aggiungiamoci i nonni. Ottomila istituti scolastici, con 45.000 plessi.
Si tratta di interventi tampone che non possono essere risolutivi e garantire il diritto allo studio di tutti? 
Come si può pensare in maniera seria di surrogare la didattica di fronte a questi numeri?

Occorre fare una riflessione seria, però dopo l’emergenza, ben sapendo che abbiamo bisogno di avere la garanzia della tutela della libertà di insegnamento che questi strumenti potrebbero mettere in discussione: una piattaforma privata non può sostituire la scuola. La tecnologia non può sostituire il pensiero e il pensiero non può essere gestito dagli algoritmi.

Il rischio è che una piattaforma privata possa gestire la formazione dei cittadini, stiamo attenti agli sciacalli – insisto – che approfittano per affermare, a caldo, i loro principi. Le emergenze possono portare elementi positivi ma anche negativi. Noi vediamo delle piattaforme private – non ne abbiamo di pubbliche, nessuno le ha mai create – che detengono gli strumenti di formazione.

Stiamo parlando della formazione, ma scherziamo? Si apre un mondo di cui non è possibile discutere in uno stato di emergenza come quello in cui ci troviamo. Successivamente si aprirà un dibattito e si coinvolgeranno i valori costituzionali, poiché stiamo parlando del futuro dei nostri nipoti.

La libertà si può perdere in ogni momento e peraltro si sta creando una distinzione tra chi può e chi non può. Tanti alunni non riescono ad accedere alla didattica a distanza, come detto. La scuola pubblica invece deve fornire garanzie a tutti”.

Non c’è davvero nulla da salvare?
Le tecnologie aiutano a vincere meglio. Ma occorre vedere se aiutano le persone o se le sostituiscono. Sono un mezzo, non un fine. Io non voglio spegnere gli entusiasmi ma ho paura dei facili entusiasmi. Perché possono portare a scelte non ragionate che mettono in discussione i valori fondanti sui cui il paese si tiene e che sono nella Costituzione.

E se si va a toccare la sanità e l’istruzione si intuisce la delicatezza degli argomenti. Davvero si pensa che si possa parlare di questo in una fase di emergenza.
Oggi il sindacato per effetto di questa emergenza non può nemmeno incontrare  i lavoratori. E’ venuto meno il rapporto diretto con le persone, che non può essere surrogato da strumenti propagandistici. Ecco perché gli entusiasmi vanno bene ma non bisogna farsi prendere la mano. In ogni crisi c’è chi ne può approfittare: c’è chi si arricchisce e chi si impoverisce. Quando si parla di formazione e di istruzione gli effetti hanno un respiro di dieci, vent’anni e quindi non si può affrontare un argomento di questo genere tra chi è favorevole e chi è contrario”.

E voi siete completamente contrari?
Noi abbiamo dimostrato di aver collaborato, poi però ci si ferma e si discute bene sapendo che dopo la crisi sarà un mondo diverso sul piano dei rapporti sociali e politici e dobbiamo fare in modo che dalla crisi venga fuori una società migliore, la quale non viene fuori con degli automatismi ma per volontà politica. Sa cosa le dico? Prima usciamo dalla crisi, poi creiamo subito delle sedi di garanzia di libertà di insegnamento e di libertà in generale per avere una tecnologia al servizio della libertà e non il contrario. Noi cerchiamo di collaborare sapendo quali sono le problematiche. Ci auguriamo che la responsabilità dimostrata da noi corrisponda alla responsabilità della politica che non sempre è all’altezza di questa emergenza in termini di responsabilità. Intanto seguiamo ciò che ci dicono gli scienziati”.

 


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