Lettera di Auguri a Edgar Morin

BUON COMPLEANNO MAESTRO!
Ti rivolgo gli auguri con l’incipit del tuo saggio “Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione”. Non è una tua frase e tu lo dici, l’hai ripresa da Rousseau.

Che bella sorpresa il libro! Mi aspettavo un trattato sull’educazione ed invece è un testo introspettivo, sulla capacità di ben vivere. In realtà, precisi subito che l’arte della vita non si insegna ma un buon educatore può aiutare ad impararla attraverso strumenti – soprattutto di pensiero – che permettano alla complessità che caratterizza inevitabilmente il reale, di essere accolta, in modo da affrontare le contraddizioni senza evitarle, superando le “alternative giudicate insuperabili”.
Senza regole precise ma indagando la complessità fino a trovare interconnessioni, fino a legare i saperi e i pensieri… per insegnare a vivere. Vivere inteso non solo come essere in vita, come sopravvivere, ma inteso come poter compiere le proprie inclinazioni, i propri talenti e le proprie attitudini, poter “essere bene”.
La riforma del pensiero, quindi, per te, deve essere accompagnata da una riforma della vita che conduce verso il ben-vivere, espressione che tu utilizzi per esplicitare lo scopo della riforma dell’educazione.
Al centro di quello che tu proponi come impianto scolastico c’è il rapporto insegnante alunno:

“ritrovare una missione insostituibile, quella della presenza concreta, della relazione da persona a persona, del dialogo con l’allievo per la trasmissione di un fuoco sacro e per la delucidazione reciproca di malintesi”

E poi è bellissimo quando dici, così come scriveva Rousseau:

“per insegnare c’è bisogno dell’Eros, cioè dell’amore. E’ la passione dell’insegnante per il suo messaggio, per la sua missione, per i suoi allievi che garantisce un’influenza possibilmente salvifica, che fa sbocciare una vocazione da matematico, da scienziato, da letterato”

E questo significa che bisogna rivedere il modo di insegnare, rivedere la didattica.

“E’ tutto il sistema di educazione contemporaneo, fondato sul modello disciplinare dell’università e sulla disgiunzione fra scienza e cultura umanistica, che bisogna nello stesso senso rivoluzionare”

Devi sapere, però, che la pandemia ha portato gli insegnanti a dover imparare in meno di tre mesi “il pensiero digitale” per cui abbiamo compreso meglio quanto tu scrivi con la metafora del “Direttore d’orchestra” che deve invertire il corso stesso delle lezioni.

“L’insegnante non distribuisce più come priorità il sapere agli allievi. Una volta fissato il tema di un compito o di un’interrogazione orale, sta all’allievo trarre da Internet, dai libri, dalle riviste e da tutti i documenti utili la materia del compito o dell’interrogazione e presentare il suo sapere all’insegnante. E quindi sta a quest’ultimo, vero direttore d’orchestra, correggere, commentare, apprezzare l’apporto dell’allievo, per arrivare, nel dialogo con i suoi allievi, a una vera sintesi riflessiva del tema trattato”.

Gli insegnanti in questo periodo, così particolare, hanno veramente rivisto il modo di fare didattica e sarai contento di saperlo e lo avrai anche accertato.

BUON COMPLEANNO MAESTRO!
Come regalo ti presento una delle tante buone pratiche di didattica che sono state organizzate dalle Scuole, per non lasciare soli gli alunni e le famiglie, la didattica cooperativa, laboratoriale che fa parte del tuo manifesto e che ci auguriamo diventi il nodo centrale del processo riformatore.

Mariolina Ciarnella
Presidente IRASE


…“All’inizio di questo anno scolastico, nel mio quartiere, mi ero guadagnata il titolo di “Preside della scuola senza banchi”. Al fine di permettere la frequenza a tutti gli alunni all’interno dei plessi scolastici (evitando dislocazione in altri edifici non scolastici che avrebbe aggravato il disagio per i genitori), durante i mesi estivi, insieme al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione avevo previsto che l’unica soluzione fattibile erano i banchi monoposto. Ma il ritardo della consegna dei banchi aveva deluso le aspettative delle famiglie. I bambini e i ragazzi erano ugualmente felici perché finalmente erano ritornati a scuola. Per me e per il personale scolastico non è stato facile lavorare tra critiche, sterili polemiche e anche qualche insulto gratuito. Poi sono arrivati i banchi, le sedie nuove… e poi le quarantene. Improvvisamente i bambini e i ragazzi si sono ritrovati a vivere questa nuova esperienza.
Nessun problema. La scuola non si è fermata mai, ha sofferto e continua a soffrire, ma ha subito capito che una didattica diversa dal solito si può fare. È stato infatti sufficiente ripensare spazi e tempi, consolidare il rapporto tra l’istituzione scolastica e il territorio, interrogarsi sul senso più completo di fare scuola.
Maria Pia Foresta
Dirigente Scolastica IC Rita Levi Montalcini


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