La scuola di nuovo alla sfida del Covid. E’ un vaso di creta tra vasi di ferro.

Gli avvenimenti che si stanno generando in queste ore raccontano di una pandemia tutt’altro che sotto controllo. Il Coronavirus impone un corso di recupero. La lezione di primavera non è stata appresa perché la politica continua a fare scelte come prima della pandemia. Se non si recupera il ruolo della politica sarà difficile traguardare l’emergenza. L’obiettivo è entrare nel futuro non nella normalità del passato.*

Il Coronavirus ha messo alla prova sistemi e paesi, misure e decisioni, non solo di oggi. Prima ci rediamo conto di ciò, prima superiamo la crisi.
La decisone di De Luca scarica sulla scuola le conseguenze di scelte e non-scelte che andavano fatte.
Su questo siamo convinti che una interlocuzione con i corpi intermedi, quelli che fanno funzionare lo Stato, poteva tornare utile.
Magari qualche buona idea da prendere c’era.
Le decisioni di Azzolina, del pari, prese in uguale, assoluta, solitudine, senza il conforto e il dialogo con le forze sociali, seguono lo stesso modo di agire.  Due figure allo specchio. Due sguardi con lo stesso difetto. Decidono da soli.
Ora assisteremo al derby tra De Luca e Azzolina. Poi il confronto politico, gli schieramenti, i dibattiti faranno venir meno il problema ed entreremo nella solita dimensione virtuale.  La realtà diventerà altro e si allontanerà dalle scelte che vanno fatte, che servono a tutti.

C’è una buona notizia: la qualità della nostra scuola, il suo essere centrale, indispensabile quasi, ora è pienamente avvertito da tutti.
La scuola, quella Cenerentola da cui trarre ricavi con tagli alle strutture e al personale, quella che supera i terremoti, le diatribe politiche, le speculazioni dei mercati, torna a chi la vive. Agli insegnanti, agli studenti, alle famiglie.

La politica resta a guardare e si tormenta senza saper decidere: le aule, troppo piccole, troppo poche, troppo poco sicure. Gli insegnanti, bravi, proprio bravi. Resilienti il giusto, pagati poco, responsabilizzati il massimo. I precari anche loro molto bravi, dopo tanti anni di lavoro, ma troppi, utili ma non sempre. Prendiamone solo un po’ e lasciamo gli altri a quando serviranno. Gli studenti che devono stare a scuola: un po’ in presenza, un po’ in DaD, un po’ in DiD. Flessibili e multitasking al punto che quasi non protestano più perché sanno che situazione vive il Paese. E il personale Ata chiamato a sentinella di decisioni mai concordate, a incarichi necessari, ma temporanei. Utili anche loro ma non indispensabili, dopo aver fatto fronte ad ogni emergenza.  E i dirigenti, mai diventati sceriffi per loro scelta professionale e etica, ora nella morsa di responsabilità temibili.

Servono altre scelte. Bisogna capovolgere la piramide delle priorità.
Mettiamo al vertice la scuola, la sanità, la sicurezza, il personale che ci lavora, le persone.
A fare adattamenti continui e repentini è sempre la scuola: ora al mercato, ora alla mancanza dei trasporti, alle esigenze della produzione. Perché, partendo proprio dall’orario di apertura delle scuole, non si disegna una nuova organizzazione della più grade comunità territoriale in un sistema integrato. Un modello sociale disegnato sulle esigenze della comunità scolastica e rispettoso di quella umana, urbana, lavorativa, potrebbe mettere insieme le persone e offrire sicurezza e tranquillità. Senza chiudere le scuole.

La scuola è un vaso di creta tra vasi di ferro.
Paga il costo di politiche autoreferenziali e a tratti autoritarie.
La politica sta mostrando soprattutto il suo volto di scontro, di contrapposizione. Quando una forza politica con scarsa cultura di governo, diventa governo e resta comunque contrapposta, non potrà mai risolvere i problemi veri che partono dalla scuola. Con la contrapposizione non si può governare in periodi di pace, figuriamoci in quelli di pandemia. Una società attraversata da queste difficoltà ne esce insieme o non esce affatto.

Di Pino Turi *

 


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