INTERVISTA / Turi: scuola come la nuova Amazon dell’offerta formativa, l’aumento stipendio quando?

Di Vincenzo Brancatisano

Sciopero della scuola e del pubblico impiego, conflitto con il Ministero dell’Istruzione, Didattica integrata come cavallo di Troia per far diventare la scuola la nuova Amazon dell’offerta formativa a domanda individuale in favore delle famiglie-clienti.
E invece – prosegue Pino Turi, segretario generale della Uil-scuola – occorre rifiutare di andare a inseguire i clienti. Ormai la scuola è un supermercato dell’offerta formativa, la scuola sta diventando la nuova Amazon dell’istruzione. Va a finire che se lo studente va sulla neve gli devi fare la didattica a distanza, lì, sulla neve.

Sciopero e servizi minimi da garantire

A pochi giorni dalla mobilitazione nazionale del 9 dicembre il sito del ministero pubblica sulla sua home page una nota sulla pre-intesa siglata all’Aran sulla regolamentazione del diritto di sciopero, e la Uil-Scuola protesta.
Nel comunicato sarebbe rappresentata secondo la Uil una situazione ben diversa da quella reale. “Contenuti corrispondenti forse alle intenzioni di alcuni, ma addirittura scrivere situazioni inesistenti lascia basiti e pone una domanda: l’estensore del testo ministeriale, ha letto la preintesa? E se l’ha letta l’ha capita? Per questo basta vedere l’analogo comunicato fatto dall’Aran che in sostanza smentisce quello del MI – osserva il segretario generale della Uil Scuola Pino Turi che ribadisce la portata innovativa e moderna dell’intesa sottoscritta ieri con l’agenzia negoziale del pubblico impiego”.
Il pomo della discordia è l’interpretazione dei servizi minimi che andrebbero garantiti in caso di sciopero. Il ministero “racconta di compiti di assistenza e vigilanza degli alunni – insiste Turi – Nel portale del MI, si annunciano ipotetiche garanzie di funzionamento di asili nido (che non c’entrano con la scuola) scuole dell’infanzia e primaria, attività assistenziali, buon funzionamento degli edifici. Esclusione dei dirigenti scolastici”.

E invece?

“E invece l’accordo Aran conferma il principio per cui il diritto allo studio si garantisce in riferimento al monte ore annuale di lezione, con la limitazione di 8 giorni per la scuola primarie e di 12 giorni per la secondaria e non su base giornaliera”.

Come stanno le cose, segretario Pino Turi?

“Facciamo un passo indietro. La Commissione di garanzia ci aveva chiamati anni fa per un’audizione perché gli scioperi organizzati di venerdi dai sindacati non rapprentativi bloccavano le scuole. Da questa audizione è iniziato un ragionamento per regolamentare il diritto di sciopero che abbiamo portato avanti in un anno e mezzo di incontri con l’Aran”

Quali erano le richieste della Commissione di garanzia?

“Quando si è iniziato a parlare in audizione la Commissione di garanzia pretendeva che i docenti dovessero comunicare la propria adesione allo sciopero. Noi abbiamo detto che lo sciopero non si deve regolamentare. E’ che si voleva dare una risposta alle famiglie fissando i contingenti minimi per tenere aperte le scuole, come succede per i trasporti”.

È una storia vecchia

“E’ una storia vecchia, certo. Lo sciopero è un diritto costituzionale che va contemperato con altri diritti costituzionali come il diritto all’istruzione. Abbiamo fatto sempre una regolamentazione su un monte ore annuale. Lo sciopero non può essere gestito giorno per giorno altrimenti la scuola diventa pura vigilanza: ma la scuola non è un servizio a domanda individuale, è una funzione. Nella scuola primaria abbiamo stabilito che non possono esserci più di otto giorni l’anno, nella secondaria il limite è di dodici giorni. Ma si parla di giorni all’anno, non si possono stabilire dei limiti minimi alla giornata di sciopero”.

Qual è la posizione del Ministero dell’Istruzione?

“Il MI ha scritto che voleva i minimi. Noi abbiamo ribaltato il concetto, riportandolo su un piano annuale: io non ti posso togliere più di un certo numero di ore all’anno, non al giorno, se no è vigilanza. Si voleva confondere l’istruzione con l’assistenza. Ma tu mandi a scuola tuo figlio per essere istruito non per avere una vigilanza. Inoltre abbiamo introdotto un elemento di modernità, lo sciopero virtuale”.

Gli insegnanti scioperano, però lavorano senza stipendio, che va devoluto a fini sociali. Funzionerebbe così lo sciopero virtuale?

“Una gran parte dello stipendio, circa 50 euro, andrebbe in beneficenza, e un’altra parte la aggiungerebbe lo Stato datore di lavoro, altrimenti ci rimetterebbero solo gli insegnanti. Già quando scioperano ci rimettono loro, facendo guadagnare soldi al datore di lavoro che non subisce alcun danno, anzi risparmia quattrini. Non è come nel settore privato che quando si ferma la produzione si producono danni all’azienda. Nella scuola non ci sono danni per il datore di lavoro, con lo sciopero della scuola i danni sono subiti dagli alunni e dalle famiglie. Con lo sciopero virtuale, gli insegnanti lavorano regolarmente ma è necessario che una corrispondente quota di denaro venga elargita dallo Stato sempre in beneficenza, avrebbe così un danno e sarebbe una forma moderna e incisiva di sciopero che non danneggerebbe la cittadinanza”

Il governo che cosa ne pensa?

“Il governo nicchia perché non vuole dare la sua parte. Il Mef, quando si tratta di spendere soldi, non ci sente. Ma insisto, il lavoratore deve avere la possibilità di rivendicare i propri diritti. Con lo sciopero virtuale si supera la visione tradizionale dello sciopero per trovare strumenti più moderni capaci di misurare il grado di dissenso. Oggi siamo bloccati, con il Covid non si può scioperare, qualunque mobilitazione in senso classico è impraticabile, dunque occorre trovare strumenti inivativi di protesta e questo potrebbe essere uno strumento nuovo che non abbiamo potuto inserire nel codice di autoregolamentazione ma noi vogliamo inserirlo in occasione della stesura del contratto collettivo”.

Esistono dei precedenti in merito?

“Esiste solo una situazione simile in Trentino, nella sanità: il medico che ha fatto il giuramento di Ippocrate non può scioperare e lasciare il paziente e così fa uno sciopero virtuale. Il docente in genere non sciopera, per non lasciare i ragazzi”. Il contratto collettivo nazionale di comparto definirà altre forme di astensione collettiva che prevedano la prestazione lavorativa, con particolare riferimento allo sciopero virtuale, definendo tipologia, modalità attuative e importo della trattenuta da destinare a finalità sociali”

Torniamo al comunicato del Ministero sullo sciopero

“L’Aran si è convinta con la contrattazione che non era possibile la proposta della Commissione di garanzia. Invece il MI ha fatto una pubblicazione con cui ha spiegato un accordo che non ha neppure letto. E’ una narrazione che prescinde dai contenuti. Siamo tornati al Ministero della cultura popolare, con la propaganda. Si dice in sostanza ai cittadini che possono stare tranquilli, che ci sarebbe sicurezza negli edifici, un meccanismo usato per tranquillizzare le famiglie-clienti. Ma il meccanismo per cui i clienti hanno sempre ragione non funziona nella scuola. Occorre restituire alla alla scuola l’autorevolezza persa a causa di politiche neoliberiste che stanno la distruggendo. Siamo succubi delle famiglie. Occorre rifiutare di andare a inseguire i clienti. Ormai è un supermercato dell’offerta formativa, la scuola sta diventando la nuova Amazon dell’istruzione. Va a finire che se lo studente va sulla neve gli devi fare la didattica a distanza”

Sulla neve?

“Sulla neve. Mi sono opposto in passato alla somministrazione dei farmaci. Ora siamo alla Didattica integrata, stanno iniziando le pretese assurde e guardi che si parte sempre da richieste significative e si finisce con le pretese assurde”

Didattica digitale integrata: il Contratto è un disastro
Che cosa pensa, lei, della Didattica digitale integrata (Ddi), che sta animando la vita degli insegnanti in tutta Italia

“Un disastro, e tutto nasce da un equivoco. C’è confusione tra la didattica a distanza, la Dad e la Ddi. La legge imponeva l’obbligo di fare un contratto integrativo per contrattare la Dad, che la scuola e gli insegnanti hanno meritoriamente inventato con il Covid di marzo rispondendo in modo meritorio a una grande e improvvisa emergenza. La legge dice che se l’emergenza continua occorre fare un contratto e io lo capisco perché la Dad di marzo rispondeva a un’emergenza. Quando però la si fa diventare una didattica innovativa integrata, che è cosa ben diversa, la domanda è: chi l’ha deciso?”

Chi l’ha deciso?

“Il governo. L’ha deciso il governo con un atto amministrativo, quando invece una situazione del genere dovrebbe coinvolgere diverse categorie: neuropsichiatri, medici, pedagogisti, giuristi. Sulla didattica innovativa serve un dibattito che coinvolga temi come la privacy, i minori, le responsabilità dei docenti e delle famiglie, il luogo di lavoro, che non è la scuola ma la casa, i rischi e la gestione degli infortuni. La Dad presuppone che la scuola sia chiusa, la Ddi presuppone che la scuola sia aperta e quindi sono cose diverse. E dunque vado a firmare un contratto che non riguarda l’emergenza ma che va oltre l’emergenza? Se sto in quarantena io posso non volere insegnare se di fianco a me ho un marito che sta morendo. E invece c’è una pretesa che tutti debbano svolgere questa cosa. Inoltre si pensi agli alunni disabili: alcuni sono a scuola, altri no, c’è una confusione pazzesca, è difficile che si faccia scuola in questo modo. Inoltre non è possibile stabilire un’equazione tra le lezioni in presenza e quelle a distanza, una lezione a in presenza equivale a mezz’ora di Dad. I neuropsichiatri dicono che nascono problemi di apprendimento. Un ministro che vuole cambiare la didattica di questo paese senza coinvolgere nessuno?”

In realtà il governo ha coinvolto i sindacati, alcuni dei quali hanno firmato il CCNI, il contratto collettivo nazionale integrativo della didattica integrata

“La domenica alle 18 ci hanno detto di firmare perché il giorno dopo il CCNI sarebbe stato pronto. Ho fatto un dibattito con alcuni parlamentari e le posso assicurare che non sanno di che cosa stiamo parlando. Sono atti amministrativi, ma quella materia è così trasversale che merita approfondimenti trasversali. Lei pensi solo che c’è stato bisogno di due circolari per spiegare che cosa c’è scritto in quel contratto. Il contratto non si interpreta, si applica. C’è un clima bruttissimo di tensione pazzesca e da queste situazioni di tensione non si esce bene, specie in momenti di emergenza. Credo si tratti di una gestione del contratto finalizzata a spaccare il sindacato perché il ministero non deve dire: chi vuole, firmi, ma deve trovare meccanismi di condivisione. Un contratto prevede che si debbano trovare elementi non di conflitto ma di adesione. Pretendere di fare una negoziazione in tre giorni è davvero lunare. Insisto: la Ddi non ha nulla a che vedere con la Dad. Dobbiamo dire grazie alla categoria che l’ha inventata e invece quando nelle cose ci mette le mani la burocrazia, da cose belle le diventare cose ingestibili. Non si può regolamentare la scuola, che invece ha bisogno di libertà e non di obblighi”.

E’ possibile che la Ddi diventi una sorta di cavallo di Troia per novità pensate per l’epoca successiva alla pandemia?

“Certo è stata fatta in una maniera raffazzonata che consentirà di buttarsi della scuola a molti gruppi privati. I nostri colleghi europei ce lo dicono: state attenti, noi ci siamo passati, l’abbiamo provata. Si tratta di fare business con pacchetti formativi da parte di multinazionali che hanno interesse a privatizzare la scuola pubblica. Noi che abbiamo difeso la scuola pubblica ora dobbiamo accettare tutto questo? Con questi pacchetti precostituiti tu condizioni i docenti e limiti la loro libertà di insegnamento, un principio cardine. Non vai più a fare un’attività libera ma indottrinamento. Veniamo dal fascismo che ha indottrinato il Paese e dovremmo saperlo. Ogni tanto sento il ministro e altri burocrati quando dicono che dobbiamo formare i docenti. La formazione in un settore come il nostro non è neutra. Non mi devi formare tu. Non cambia la catena di montaggio che mi devi spiegare tu come funziona. Tutti i docenti devono aprire gli occhi e devono fare il lavoro da classe dirigente di questo Paese e invece abbiamo un governo che vuole orientare le scelte didattiche con un’intromissione indebita. Fra un po’ arriverà un bell’algoritmo che ci dirà come dobbiamo insegnare. Quello si chiama indottrinamento e pericolo per la democrazia. E’ una strategia ben studiata, quella di mettere le mani sulla scuola e l’istruzione. Ti vogliono portare a fare quello che vogliono loro. La scuola pubblica è plurale ma se la facciamo diventare la scuola del partito al governo è finita. La faccenda della formazione deve essere libera. La Legge 107… era quello il modello. In ogni articolo di quella legge c’è la formazione obbligatoria. Siccome la gente vuole comodità dice; ma che m’importa? E’ normale che un ministro dica che la formazione debba avvenire nel modo che indica lui? Ci sono enti formativi ma ognuno decide la linea culturale e politica da seguire. La formazione, insisto, non è neutra. Le scuole servono per inculcare il pluralismo ai nostri figli”.

Sciopero 9 dicembre: si dice sempre che non è il momento per chiedere aumento stipendio

Veniamo allo sciopero del 9 dicembre. Come risponde al governo e ai tanti che si stanno indignando per il fatto che i sindacati in questo momento difficile chiedano aumenti per gli insegnanti e per i dipendenti pubblici, che rispetto a tanti ad altri lavoratori del settore privato si avvertono come più tutelati? Dicono che non è proprio il momento più adatto.

“Sono ormai decenni che si chiede un adeguamento degli stipendi e non è mai il momento adatto, mentre stiamo assistendo ai fallimenti di politiche sbagliate e che le forze politiche non hanno la capacità di affrontare e risolvere. Non è levando i diritti ad alcuni che si risolvono i problemi. Del resto se per privilegio si intende che a fine mese si percepisce lo stipendio, vuole dire che si è perso il senso della società e della sua complessità. Siamo alle solite: un governo incapace di dare risposte non trova nulle di meglio che innescare guerre tra poveri, eppure eravamo convinti che la lezione della pandemia fosse servita. Infine ora si prepara la finanziaria: se non si possono rivendicare diritti lavorativi ora, saremo ancora ad attendere e non sarà mai il momento giusto. I cittadini si stanno rendendo invece conto delle condizioni in cui si trovano i lavoratori della scuola che al momento per larga parte sono al fronte e a mani nude affrontano i rischi di ammalarsi e non è mai il momento gusto. Se non ci fosse stato il Coronavirus, avremmo per gli innumerevoli motivi proclamato scioperi e mobilitazioni. Approfittare dell’impossibilità di mobilitazione è ancora la cifra di una classe politica che approfitta della contingenza e sacrifica sempre i soliti noti, quelli che dovranno pagare anche le spese pazze che il governo sta facendo per affrontare l’emergenza. Aggiungerei che la protesta di oggi serve per il futuro. Un principio sconosciuto a questo governo che vive alla giornata”.


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