A chi non piace questa scuola?
di Pino Turi*
Il decreto-legge approvato dal Governo, quello che la stampa ha denominato ‘pacchetto Bianchi’, è un testo non ancora conosciuto nonostante i fiumi di inchiostro che ne hanno costituito la gestazione: centri studi di associazioni e di partito, Commissione Europea, opinionisti interessati a pseudo riforme.
Per essere precisi dovremo attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ma il modello che si vuole introdurre è noto e la musica non cambia. Su queste basi, seppur provvisorie, siamo in grado di dare alcune valutazioni, senza tema di sbagliare: considerazione e valutazioni che sono decisamente negative. Sia per il metodo che per il merito, il primo tradisce la volontà autoritaria che si trasforma in merito: la destrutturazione del sistema scolastico costituzionale del Paese.
Una controriforma fortemente voluta e cercata dai governi che si sono avvicendati negli ultimi venti anni, dapprima con politiche mirate ad indebolire le strutture sindacali e il sistema stesso, con politiche di tagli, accompagnate da una narrazione di colpevolizzazione e denigrazione del personale.
Un vero e proprio attacco sferrato contro il sistema della scuola democratica e partecipata, attraverso iniziative legislative e ammnistrative caratterizzate da un approccio neoliberista che vorrebbe attuare il modello del mercato e del privato anche per istituzioni come quella scolastica che la costituzione definisce pubblica statale ed unitaria, per salvaguardarne il valore libero e democratico del paese.
Il primo e più deciso attacco è arrivato con la legge sulla Buona Scuola che metteva in primo piano la strategia narrativa e la propaganda ancora prima del merito, e che, oggi trova la continuità in questo provvedimento di controriforma della scuola che ne assume la eredità, senza peraltro alcun confronto nel Paese e nel Parlamento.
Un provvedimento di legge che riforma e trasforma il sistema sulle ceneri della legge 107, che con la mobilitazione e con il contratto, avevamo stoppato. A Pasqua, abbiamo visto risorgere la pseudo riforma, come il peggiore degli atti ammnistrativi, nascosto nel PNRR, approfittando dello stato di emergenza in cui vive il paese da due anni.
La definiamo controriforma perché è giusto usare i termini giusti per uscire dalla narrazione propagandistica del Governo.
Il nostro senso riformista è quello legato ai principi e ai valori della costituzione e non ad un’alternanza di sistemi che, invece da quei valori si allontanano vistosamente. A nostro modesto, parere siamo di fronte ad un provvedimento palesemente incostituzionale.
Le riforme sono quelle che rispondono alle esigenze e ai diritti dei cittadini di cui la costituzione è gelosa custode. Noi abbiamo una costituzione rigida, a differenza di altre realtà giuridiche europee. Se si abbandona il percorso costituzionale siamo in un percorso di controriforma che nega e contraddice i canoni di natura costituzionale.
Ci chiediamo? Come possono i decisori politici, quelli che legiferano cambiando regole e modificando diritti ed obblighi giuridici e che giurano fedeltà alla costituzione, essere condizionati fino a questo punto da tecnocrati nostrani ed europei?
Fatta questa premessa, da laici e sempre portatori del dubbio, ci siamo chiesti se fossimo nel giusto a criticare ed ostacolare queste pseudo riforme, o eravamo ostaggio della nostra visione ideologica e ci siamo fatti una domanda: a chi non piace questa scuola?
Le statistiche stabilmente riportano che nella fiducia dei cittadini italiani la scuola è, ancora per l’anno 2021, saldamente al quarto posto dopo le forze dell’ordine, del Papa e del Presidente della Repubblica.
Ci siamo detti, allora i cittadini la vogliono così? Sono contenti.
Allora abbiamo pensato che l’insoddisfazione fosse degli studenti: anche in questo caso fatta qualche indagine sul tema (a partire da skuola.net) mostrano che gli studenti sono mediamente contenti dei loro professori, magari vorrebbero ampliamento e spazi di democrazia ulteriori e classi meno affollate.
Ci siamo allora chiesti chi non amasse questa scuola in modo tale da rivoluzionarla a tal punto? La risposta è che non piace all’Europa, al Governo, alle élite economiche e finanziarie. Una logica di natura mercatista che negli ultimi venti anni, ha strutturato il cambiamento in funzione del mercato del profitto, dell’egoismo e dell’individualismo, a totale discapito delle persone. Una azione che smantella la tradizione culturale e democratica del paese e la riporta indietro di 70 anni.
Senza un dibattito in Parlamento, senza alcuna interlocuzione con i corpi intermedi politici e sociali, ci sembra una forzatura inaccettabile che diventa preoccupante se si analizza il merito del provvedimento.
Presentata con un titolo fuorviante che sembra riguardare solo il reclutamento e la formazione iniziale, il decreto affonda un colpo al cuore della scuola, quella descritta e scritta da Calamandrei, quella della Repubblica, quella che è istituzione costituzionale di tutti (ri)diventa una scuola sotto il ferreo controllo del governo. Gerarchizzarne la struttura come si trattasse di una azienda che ha fini produttivi e di profitto in un settore come quello scolastico dove il “prodotto” deve essere, invece, un insegnamento/apprendimento libero, laico e critico, con un colpo di teatro, viene messo in discussione dalla istituenda Scuola di alta formazione. Una idea molto cara al Ministro Azzolina, comparsa poi nel PNRR.
Esempi di scuola di gestione e controllo governativo, ne conosciamo molte, a partire da quella per la Pubblica Amministrazione di Caserta che si ispira al modello francese, e se ne possono contare altre, nell’ambito delle forze dell’ordine per esempio, le accademie, le scuole di guerra e più di recente le scuole di partito. Tutte scuole con finalità particolari che devono selezionare la classe dirigente rispettivamente, della burocrazia ammnistrativa, quella militare, quella politica, attivando strumenti e formazione specifica.
Se si applica questo modello al sistema scolastico è intuitivo che il governo controlli e decida il taglio culturale e specifico della formazione per condizionarne gli effetti, con ricadute sul reclutamento e sulla formazione continua dei suoi dipendenti.
Il personale della scuola è dipendente del Governo; gli stipendi per il lavoro che si fa a scuola ogni giorno, sono il risultato dello stanziamento di risorse dello Stato per l’istruzione di tutti. Tuttavia, per questa funzione fondamentale la costituzione assegna al sistema di istruzione nazionale e al suo personale una prerogativa che lo rende dipendente dallo Stato e non dal Governo.
Una decisione sulla professione non è nelle disponibilità del Governo, ma neanche del Parlamento.
La prerogativa della libertà di insegnamento ne sarebbe definitivamente compromessa.
Qualcuno nel nostro paese si sarà fatto convincere da chi professa la crisi della democrazia.
La scuola costituzionale di Calamandrei rappresentava proprio l’antidoto a queste derive.
Stiamo parlando di libertà, di diritti e di persone.
Non a caso questo modello ha portato il nostro paese al settimo posto tra i paesi più industrializzati del mondo e la Confindustria che suggerisce queste pseudo riforme, non se ne è accorta?
La democrazia è vincente su tutto e funziona meglio, anche della burocratizzazione e della gerarchizzazione, tanto desiderata. Questo provvedimento, marginalizza ed utilizza il reclutamento e la formazione, per dare corpo alle controriforme di cui il paese ne farebbe volentieri a meno: trasforma i professionisti dell’educazione in funzionari dediti e fedeli: una follia se si pensa che oltre un milione di persone dovrebbero essere costrette ad una formazione eterodiretta dal governo e soggetta a continue verifiche.
Ci auguriamo che i partiti, magari quelli che nei 70 anni passati avevano preso a cuore le sorti della scuola pubblica statale e della democrazia, abbiano un sussulto di dignità per emendare il testo relativo al reclutamento con l’unico obiettivo di eliminare la piaga del precariato (e il mercato su cui si regge) e stralcino le innumerevoli scorribande legislative sulla materia contrattuale che va invece riaperta e resa libera nella sua contrattazione. Una cosa su tutto: va ridisegnato completamente il progetto di Scuola di alta formazione che altro non è che un tentativo, peraltro goffo, di indottrinamento e condizionamento che il corpo sano della nostra scuola non accetterà mai.
*Segretario generale Uil Scuola